Vent'anni fa terminava il conflitto nell'ex Jugoslavia. I ricordi di chi c'era
Le stragi, il nazionalismo risorgente, gli aiuti dall'Italia... Parlano i testimoni: il rifugiato bosniaco, il volontario che portava soccorsi alla popolazione, la responsabile di un campo profugh
Nel novembre di 20 anni fa, nel 2001, con la fine della guerra in Macedonia, terminavano i conflitti decennali che investirono i Balcani dal 1991. Tutto iniziò con la secessione della Slovenia, poi il conflitto scoppiò per l'indipendenza della Croazia (1991-1995), continuò in Bosnia (1992-1995), in Kosovo (1998-1999). Poi ci fu l'insurrezione nella Valle del Presevo (1999-2001) e infine l'insurrezione in Macedonia.
Nella sola Bosnia Erzegovina si contarono 101mila morti. I territori dell’ex Jugoslavia furono il teatro di grandi massacri; il più efferato fu l’eccidio di Srebrenica, dove in meno di 3 settimane, nel luglio 1995, l'esercito e le milizie serbo-bosniache uccisero 8mila bosniaci musulmani, per la maggior parte ragazzi e uomini.
Alcune stime indicano il numero di morti nelle guerre jugoslave a 140 mila. La Bosnia ed Erzegovina ha subito il fardello più pesante dei combattimenti: tra 97.207 e 102.622 persone sono state uccise nella guerra, tra cui 64.036 bosniaci, 24.905 serbi e 7.788 croati. Il bilancio delle vittime più alto è stato a Sarajevo, con circa 14 mila morti durante l'assedio.
La giustizia sta facendo il suo corso, ma solo in parte: la Corte penale internazionale dell'Aja, creata proprio per i crimini commessi in questi conflitti, non ha ancora finito il suo lavoro e i tribunali nazionali stentano a trovare la verità.
E anche il nazionalismo non è finito, come racconta in questo video Salih Selimovic, nel 1992 giovane profugo dalla Bosnia e dal 1995 residente in Italia: “In Bosnia Erzegovina vengono raccontate diverse versioni di ciò che è stata la guerra nel nostro Paese. Nei libri di testo scolastici della Serbia si racconta una verità, in quelli della Bosnia un’altra”.
Un altro motivo per cui l’odio si perpetua è che numerosi colpevoli di crimini di guerra sono in libertà: “Ci sono persone che per strada incontrano l’assassino del proprio figlio”, racconta Silvia Maraone, allora giovanissima volontaria, e oggi coordinatrice del campo profughi di Lipa in Bosnia.
Nel video le testimonianza anche di Roberto Rambaldi - già vicedirettore di Caritas italiana, per lungo tempo presente sui Balcani per coordinare gli aiuti da Milano – e di Soana Tortara che durante la guerra nell'ex Jugoslavia era presidente dell’ong Ipsia-Acli (1995-2004), attiva nel fornire assistenza.
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