Trump e Putin, addio dialogo. Al piano di pace adesso pensa l'Ue

di Elena MolinariGiovanni Maria Del Re (New York e Bruxelles)
L'apertura sulla possibilità di un incontro è naufragata nel giro di una settimana sul «no» russo a un cessate il fuoco immediato. Niente Tomahawk: gli Stati Uniti offrono in cambio 25 sistemi Patriot
October 22, 2025
Trump accanto a Zelensky
Trump e Zelensky nel corso dell'ultimo incontro alla Casa Bianca
Non ci sono piani per un incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin «nell’immediato futuro». Quattro giorni dopo l’assicurazione del presidente Usa che avrebbe tenuto un vertice con il leader russo a Budapest «entro due settimane», la Russia nega l’eventualità, e la Casa Bianca fa marcia indietro. Il rinnovato impulso di Trump per una soluzione al conflitto in Europa, emerso sull’onda della tregua a Gaza, è dunque durato poco più di una settimana, e si è concluso con nulla di fatto. E, ancora una volta ad aver fatto naufragare gli sforzi del capo della Casa Bianca è stato il rifiuto di Mosca di accettare un cessate il fuoco immediato in Ucraina. Washington non ha, però, del tutto abbandonato i piani di Trump di incontrare Putin, e i tentativi di organizzare un vertice in Ungheria sembrano ancora in corso. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, era ieri a Washington, dove ha scritto su Facebook: «Ci aspettano giorni impegnativi». Ma qualcosa si è inceppato, «Credo che Mosca volesse troppo e per gli Usa è diventato evidente che non ci sarà alcun accordo per Trump a Budapest», ha detto un diplomatico europeo. I russi «non hanno affatto cambiato la loro posizione e non sono d’accordo a ‘restare dove sono»”, ha evidenziato un altro diplomatico, sottolineando che persino l’incontro preparatorio tra i ministri degli Esteri dei due Paesi, Marco Rubio e Sergei Lavrov, è stato rinviato dopo una telefonata fra i due. «Presumo che Lavrov abbia fatto lo stesso discorso e Rubio abbia risposto: "Arrivederci"».
Il tentativo di dialogo si era già incrinato quando Trump, la scorsa settimana, aveva usato la richiesta ucraina di missili a lungo raggio Tomahawk per esercitare pressione sul Cremlino, sostenendo di voler prendere in considerazione la fornitura. Ma una telefonata di Putin ha fatto rapidamente cambiare idea al tycoon, tanto che, durante il successivo incontro con il presidente ucraino, Trump avrebbe detto a Volodymyr Zelensky di dimenticare i Tomahawk e di rinunciare invece del tutto alla regione orientale del Donbass, cedendo alle richieste russe. «Sì, è vero», ha detto un funzionario americano, secondo cui Trump avrebbe esortato Zelensky a ritirare le truppe dai territori ancora sotto controllo ucraino. La fonte ha aggiunto che i colloqui del leader di Kiev con Trump sono stati «tesi e non facili», e che gli sforzi diplomatici per mettere fine alla guerra sembrano «trascinarsi» e «girare a vuoto». Il presidente ucraino invece ha descritto il suo incontro alla Casa Bianca come «un successo» che ha prodotto progressi, portando all'acquisizione di nuovi sistemi di difesa aerea, in contrasto con le notizie secondo cui Trump lo avrebbe insultato.
Zelensky ieri ha ribadito la sua disponibilità a fermare il conflitto lungo l'attuale linea del fronte e ha rilanciato l'appello per la fornitura di Tomahawk, che ritiene indispensabili per costringere Mosca al negoziato. «Non appena la questione dei missili a lungo raggio è diventata un po' più complessa per l'Ucraina, la Russia ha perso interesse per la diplomazia — ha fatto notare il presidente ucraino riferendosi al rifiuto di Trump —. È un segnale che la questione è una chiave insostituibile per la pace». Per ora Zelensky si accontenterà di un contratto per l'acquisto di 25 sistemi Patriot. Ma Mosca resta ferma sulle sue posizioni, negando persino che un vertice fosse mai stato allo studio. «Non è possibile sospendere qualcosa che non è mai stato concordato», ha concluso ieri il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov.
Un rifugio a Chernihiv, per ricaricare i telefoni e comunicare con i parenti dopo l’ennesimo blackout per un attacco dei droni
Un rifugio a Chernihiv, per ricaricare i telefoni e comunicare con i parenti dopo l’ennesimo blackout per un attacco dei droni

Bruxelles e Kiev al lavoro su un piano di pace in 12 punti

Un piano in dodici punti per porre fine alla guerra in Ucraina, lungo la linea attuale del fronte. Gli europei, pochi giorni dopo l’annuncio del presidente Usa Donald Trump di un possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest (ormai sempre più in dubbio) si ricompattano per evitare il peggio. A rivelarlo è l’agenzia Bloomberg. L’idea è di creare un board (una sorta di direttorio) presieduto da Trump per vegliare sull’attuazione del piano. Una volta che la Russia avrà accettato la tregua, ci sarà il ritorno di tutti i bambini ucraini deportati in Russia e scambi di prigionieri. L’Ucraina riceverà garanzie di sicurezza, fondi per riparare i danni di guerra e un percorso rapido di adesione all’Ue. Contemporaneamente, le sanzioni contro Mosca sarebbero progressivamente revocate, ma i circa 300 miliardi di dollari complessivi di riserve della Banca centrale russa in Occidente sarebbero restituiti solo dopo che Mosca avrà accettato di contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Le sanzioni tornerebbero a scattare se la Russia attaccherà nuovamente l’Ucraina. Non basta, il piano prevede che Mosca e Kiev avviino i negoziati sulla gestione dei territori occupati, senza però alcun riconoscimento formale di terre ucraine occupate da Mosca.
Che Putin possa accettare un piano del genere è praticamente escluso, viste oltretutto le sue richieste oltranziste. È però il segnale che l’Europa cerca di reagire, dopo la telefonata di Putin a Trump della scorsa settimana, che è parsa smantellare in un attimo mesi di sforzi diplomatici degli europei nei confronti della Casa Bianca. Le rivelazioni dell’agenzia arrivano, del resto, poche ore dopo la pubblicazione di una dichiarazione congiunta firmata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky con dieci capi di Stato e di governo europei: Giorgia Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente finlandese Alexander Stubb, i premier di Danimarca Mette Frederiksen, Spagna Pedro Sánchez, Svezia Ulf Kristersson (questi due aggiuntisi nel pomeriggio), Polonia Donald Tusk, Regno Unito Keir Starmer e Norvegia Jonas Gahr Støre. A loro si aggiungono le firme dei presidenti di Commissione Europea e Consiglio Europeo Ursula von der Leyen e Antonio Costa. «Noi tutti – si legge nella dichiarazione – sosteniamo la posizione del presidente Trump che i combattimenti debbano cessare immediatamente, e che l’attuale linea di contatto debba essere il punto di partenza dei negoziati», sottolineando il «principio che i confini internazionali non possono esser cambiati con la forza». Venerdì pure un’altra riunione dei “Volenterosi”. L’Ue, intanto, lavora alacremente sull’utilizzo dei 140 miliardi di euro della Banca centrale russa congelati nell’Ue, per finanziare Kiev. Tema che sarà anche sul tavolo dei 27 leader domani al Consiglio Europeo presente Zelensky. Bruxelles sottolinea che non è una confisca, ma che quei soldi sarebbero usati come “base” per prestiti destinati a Kiev, con un complicato marchingegno giuridico. Una discussione non facile, il Belgio (in cui si trova la massima parte di questi fondi) insiste per garanzie dagli altri Stati membri nel caso Mosca finisca per ottenere un risarcimento in tribunale, Parigi vorrebbe un vincolo di acquisto di armi “Made in Europe”. La Germania chiede che tutto sia destinato all’acquisto di armi. E poi c’è il nodo Ungheria: se non si troverà l’escamotage giuridico per un via libera a maggioranza qualificata, il veto è più che probabile.

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