Trump “copia” Israele e lancia il suo Golden Dome
II presidente annuncia lo scudo antimissile Usa. Ispirato all’«Iron Dome» della Rafael, costerà 175 miliardi e dovrebbe essere pronto in tre anni. Ira di Pechino: «Così si destabilizza la regione»

Il progetto solleva aspettative, critiche, dubbi e interrogativi. Ma Donald Trump, ancora una volta, ha tagliato le curve e l’ha presentato nel suo modo più tipico: «Non c’è mai stato nulla di simile», ha detto annunciando il suo nuovo programma per uno scudo antimissilistico americano. Che, in realtà, un “progenitore” molto simile ce l’ha. Anzi due: l’iniziativa di difesa strategica che era stata pensata da Ronald Reagan, e l’Iron Dome israeliano.
L’“ombrello” che proteggerà gli Usa – soprattutto dalla Cina – si chiamerà Golden Dome (Cupola d’Oro). È un misto di ambizione, tecnologia e integrazione di componenti sensoriali basate nello spazio, a terra e in mare, abbinate a intercettori multilivello, cinetici e a-cinetici, spaziali e non. Ispirato proprio all’Iron Dome dell’israeliana Rafael – inventato da Daniel Gold – il Golden Dome, potrebbe contare centinaia di satelliti di sorveglianza e molteplici armi per neutralizzare le minacce, dalla fase di lancio a quella finale, richiedendo forte automazione e capacità federativa dei sistemi di comando e controllo.
Tutto comincerà con un budget di 25 miliardi di dollari, una fattura finale stimata dal presidente in 175 miliardi, e tanta fretta. Trump vuole che il Golden Dome raggiunga la maturità operativa entro la fine del suo mandato, fra un triennio e mezzo. Non si parte da zero, visti i tanti tasselli già esistenti nell’ordito anti-missilistico americano e «il lavoro iniziato 40 anni fa dal presidente Reagan». Non fornisce dettagli Trump, annunciando che «abbiamo selezionato ufficialmente un’architettura per questo sistema Hi-Tech», al cui sviluppo potrebbe unirsi il Canada, già parte del Comando di difesa aerea nordamericano.
Le maggiori aziende del settore sono già in fila per una partecipazione. A cominciare dalla Space X di Elon Musk. A dirigere i lavori sarà il generale Michael Guetlein, vice-comandante della Forza spaziale statunitense, dalle idee molto chiare: «I nostri avversari svecchiano rapidamente le loro forze nucleari, costruiscono missili balistici poli-testata, vettori ipersonici capaci di colpire gli Usa in un’ora, missili da crociera elusivi di radar e difese, sommergibili furtivi nell’approssimarsi alle nostre coste e, ancora peggio, armi spaziali».
Sebbene costi e tempistiche del progetto lascino perplessi, agitando rigoristi dei conti pubblici e fautori delle spese sociali, la strategia di difesa antimissilistica evolve in base alla maturazione tecnologica dei nemici di turno, Cina e Russia su tutti, ma anche Corea del Nord e Iran. Gli ultimi rapporti degli analisti della Difesa americani sul potenziale militare cinese sono emblematici e allarmistici. Stimano che l’arsenale nucleare del Dragone crescerà dalle 600 testate attuali a oltre 1.000 entro un quinquennio, intrise della stessa ambiguità della dissuasione integrata nazionale. Fanno paura gli studi e i test sui sistemi di bombardamento frazionale orbitale, lo sviluppo delle tecnologie ipersoniche applicate ai missili da crociera, la corsa a missili balistici intercontinentali convenzionali e nucleari, e le molteplici insidie al predominio spaziale statunitense, parte della competizione fra lo scudo e la spada.
Ma contro l’arsenalizzazione dello spazio ha tuonato proprio la Cina, che bolla il Golden Dome come una «minaccia alla stabilità globale» e una violazione «del trattato sull’uso pacifico dello spazio extraatmosferico». La portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, ha esortato Washington «ad abbandonare sviluppo e dispiegamento del sistema globale di difesa missilistico il prima possibile». Più pacata la reazione russa, affidata al portavoce del Cremlino, che si è limitato a ribadire la necessità di riprendere il dialogo con Washington sulla stabilità strategica e ha definito il progetto americano una «questione di sovranità interna».
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