«Qui i russi avanzano: noi bersaglio di un safari-killer»
Si combatte a soli nove chilometri da Kramatorsk dove il vescovo Ryabukha ha aperto la porta giubilare. «Ora mi chiedo se riuscirò a chiuderla. Sgombrate anche alcune parrocchie»
«Ho aperto la porta giubilare a Kramatorsk. Riuscirò a chiuderla alla fine dell’Anno Santo? O resterà una chiesa giubilare per sempre?». Il vescovo Maksym Ryabukha prova a scherzare. E da salesiano cerca di allentare la tensione. Ma il suo è un riso amaro. Sa bene che rischia di cadere in mano russa l’ultima grande città che resta in tutto e per tutto ucraina nella regione di Donetsk. La regione che dà il nome alla diocesi greco-cattolica tagliata dai mille chilometri della linea del fronte e occupata per quasi la metà dall’esercito di Mosca. «La situazione sta peggiorando - spiega il presule -. Le truppe di Putin avanzano e fanno terra bruciata intorno. Chi riesce a salvarsi e a sfuggire all’arrivo dei militari ha la possibilità di sopravvivere, nonostante abbia perso tutto. Ma c’è anche tanta della nostra gente che vive sottoterra, nei rifugi o nelle cantine, per ripararsi dalle bombe con la speranza che magari l’avanzata si fermi: tutti si augurano il prima possibile».

I progressi del Cremlino nell’oblast del Donbass hanno costretto il vescovo a sgomberare alcune parrocchie nella parte della regione che Kiev controlla. «Ma i nostri sacerdoti continuano a svolgere il loro ministero fra la popolazione, seppur in mezzo a mille difficoltà e pericoli», chiarisce il vescovo che era a Roma per accompagnare i duemila ragazzi ucraini al Giubileo dei giovani. E racconta che cosa accade ai civili quando i loro villaggi si trovano a ridosso della linea di combattimento. «Vengono inseguiti con i droni russi e colpiti. Vale per le persone; vale per le auto o i mezzi di soccorso. Una sorta di safari-killer. Un nostro giovane mi ha riferito che si è salvato per miracolo una mattina: ha sentito il rumore di un razzo, è corso via da casa con la famiglia e dopo venti secondi la sua abitazione non esisteva più. Se fosse accaduto di notte, sarebbero morti tutti».

I militari di Mosca erano a venti chilometri da Kramatorsk a fine dicembre quando Ryabukha ha dato il via all’Anno Santo nella località dell’Ucraina più vicina ai campi di battaglia. Adesso sono a nove chilometri dalla città dove si trova la chiesa giubilare. «Dicono che il progetto sia quello di accerchiarla - riflette il vescovo -. Ogni tanto penso a che cosa può succedere quando si finisce sotto occupazione. I nostri uomini vengono arruolati e mandati a combattere contro la propria patria. Questo significa che, se un giorno sarò in un territorio controllato dai russi, dovrò andare a uccidere la mia gente».

La diocesi di Ryabukha comprende anche le regioni di Lugansk, quasi tutta capitolata, e di Zaporizhzhia che per metà è stata strappata dai soldati di Putin e che sperimenta una nuova spinta in avanti dei battaglioni russi. E include anche l’oblast di Dnipro su cui adesso punta il Cremlino. «Durante il Giubileo dei giovani - afferma il vescovo - il Papa ha fatto riferimento sia all’Ucraina, sia alla Palestina. In entrambi luoghi avvengono crimini contro l’umanità, seppur con modalità diverse. Il mondo non può tacere davanti a ciò che sta succedendo. E ci domandiamo: possibile che chi ha in mano le sorti delle nazioni non riesca a fare nulla?». Ryabukha guarda con fiducia a Leone XIV. «Sta indicando la direzione giusta. Ha incontrato molti rappresentanti della nostra gente che soffre: bambini, vedove, famiglie dei prigionieri di guerra. Tutto questo dice la sua vicinanza che ha già tradotto in impegno a fermare il conflitto».
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