Putin sta vincendo la sua partita con Trump. Ora però è davanti a un dilemma
Finora il presidente russo ha ridicolizzato il collega americano, su cui ironizza ormai anche la stampa liberal Usa. Ora può capitalizzare le sue conquiste o continuare a giocare, ma a suo rischio

Nella celeberrima teoria dei giochi, un “gioco a somma zero” descrive una situazione in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro partecipante in una somma uguale e opposta. Teoria che si completa con quello che è stato definito “l’equilibrio di Nash” (dal nome del matematico statunitense John Nash), ovvero quando nessun giocatore ha interesse a essere l'unico a cambiare.
Vladimir Putin si trova verosimilmente in questo guado metodologico. Notevole giocatore d’azzardo, pokerista e bluffatore di prima classe, finora ha tirato più che poteva la corda, anzi: le corde che aveva a disposizione, per garantirsi il massimo dei vantaggi.
Finora lo zar ha sempre vinto. Dapprima ridimensionando e ridicolizzando le aperture di credito di Donald Trump, quindi mettendo alla berlina la roboante fanfara con cui Emmanuel Macron si era offerto di dispiegare il proprio arsenale nucleare a difesa dei confini della Nato, quindi ancora deprezzando il summit di Istanbul inviando le seconde file al tavolo di trattative che già sapeva non avrebbero portato né al cessate il fuoco né a una road map di negoziati, ma solo (anche se sotto il profilo umanitario quel “solo” ha un valore immenso) a uno scambio condiviso di prigionieri di guerra con l’Ucraina. Senza contare il sordo attrito con la rinascente potenza militare tedesca, che grazie al neocancelliere Friedrich Merz guida il riarmo europeo e affila le sciabole in vista di un conflitto che potrebbe avere come teatro i confini baltici e la Polonia.
Ora però “Mad Vlad” (è Trump ad avergli dato del matto) si trova al centro del classico dilemma del giocatore: mi alzo dal tavolo, raccolgo un gigantesco bottino che ho accumulato vincendo a man bassa tutte le mani o resto e continuo a giocare?
La tentazione di continuare, riconosciamoglielo, è molto forte: all’altro lato del tavolo da gioco siede uno spazientito Donald Trump che aveva promesso di farla finita con la crisi ucraina in 24 ore e che invece ha solo rimediato lo sgradevole soprannome di “Taco”, acronimo di Trump always chickens out, ovvero “Trump se la fa sempre sotto”, che la stampa liberal anglosassone ha immediatamente fatto suo. Ma tra comprimari e volenterosi ci sono giocatori – la Cina, la Germania, i Brics tra i quali aleggia un crescente malumore – con cui non è così scontata la vittoria del grande bluffatore del Cremlino. Forse per questo lunedì i mediatori russi torneranno a sedersi a Istanbul a un tavolo con di fronte gli ucraini, con l’obbiettivo di presentare un “memorandum” contenente le richieste russe. Tra le quali, l’impegno formale della Nato a non estendere l’Alleanza Atlantica a est, cioè a Georgia, Moldavia e Ucraina, quest’ultima rigorosamente neutrale e senza alcuna restituzione delle provincie invase e conquistate. Richieste già stranote e insoddisfacenti per Zelensky.
Neanche stavolta a Istanbul ci saranno le teste di serie: Putin rimanda a un nebuloso domani lo storico incontro con The Donald. Ben sapendo che ogni settimana che passa la stella del tycoon si appanna e quella del Cremlino riluce di nuovo vigore.
Morale: siamo sempre seduti a un tavolo da gioco. Il “wargame” continua. Perché ritirarsi finché si vince? Per pagare i propri debiti di gioco, un secolo e mezzo fa Fedor Dostoevskij scrisse il romanzo autobiografico "Il giocatore". Forse anche Putin ogni tanto dovrebbe rileggerlo.
Vladimir Putin si trova verosimilmente in questo guado metodologico. Notevole giocatore d’azzardo, pokerista e bluffatore di prima classe, finora ha tirato più che poteva la corda, anzi: le corde che aveva a disposizione, per garantirsi il massimo dei vantaggi.
Finora lo zar ha sempre vinto. Dapprima ridimensionando e ridicolizzando le aperture di credito di Donald Trump, quindi mettendo alla berlina la roboante fanfara con cui Emmanuel Macron si era offerto di dispiegare il proprio arsenale nucleare a difesa dei confini della Nato, quindi ancora deprezzando il summit di Istanbul inviando le seconde file al tavolo di trattative che già sapeva non avrebbero portato né al cessate il fuoco né a una road map di negoziati, ma solo (anche se sotto il profilo umanitario quel “solo” ha un valore immenso) a uno scambio condiviso di prigionieri di guerra con l’Ucraina. Senza contare il sordo attrito con la rinascente potenza militare tedesca, che grazie al neocancelliere Friedrich Merz guida il riarmo europeo e affila le sciabole in vista di un conflitto che potrebbe avere come teatro i confini baltici e la Polonia.
Ora però “Mad Vlad” (è Trump ad avergli dato del matto) si trova al centro del classico dilemma del giocatore: mi alzo dal tavolo, raccolgo un gigantesco bottino che ho accumulato vincendo a man bassa tutte le mani o resto e continuo a giocare?
La tentazione di continuare, riconosciamoglielo, è molto forte: all’altro lato del tavolo da gioco siede uno spazientito Donald Trump che aveva promesso di farla finita con la crisi ucraina in 24 ore e che invece ha solo rimediato lo sgradevole soprannome di “Taco”, acronimo di Trump always chickens out, ovvero “Trump se la fa sempre sotto”, che la stampa liberal anglosassone ha immediatamente fatto suo. Ma tra comprimari e volenterosi ci sono giocatori – la Cina, la Germania, i Brics tra i quali aleggia un crescente malumore – con cui non è così scontata la vittoria del grande bluffatore del Cremlino. Forse per questo lunedì i mediatori russi torneranno a sedersi a Istanbul a un tavolo con di fronte gli ucraini, con l’obbiettivo di presentare un “memorandum” contenente le richieste russe. Tra le quali, l’impegno formale della Nato a non estendere l’Alleanza Atlantica a est, cioè a Georgia, Moldavia e Ucraina, quest’ultima rigorosamente neutrale e senza alcuna restituzione delle provincie invase e conquistate. Richieste già stranote e insoddisfacenti per Zelensky.
Neanche stavolta a Istanbul ci saranno le teste di serie: Putin rimanda a un nebuloso domani lo storico incontro con The Donald. Ben sapendo che ogni settimana che passa la stella del tycoon si appanna e quella del Cremlino riluce di nuovo vigore.
Morale: siamo sempre seduti a un tavolo da gioco. Il “wargame” continua. Perché ritirarsi finché si vince? Per pagare i propri debiti di gioco, un secolo e mezzo fa Fedor Dostoevskij scrisse il romanzo autobiografico "Il giocatore". Forse anche Putin ogni tanto dovrebbe rileggerlo.
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