domenica 19 febbraio 2023
Mai così tanti gli agenti del Cremlino scovati dai tempi della Guerra fredda L’ultimo è il tedesco Carsten Linke, arrestato a Francoforte alla fine di gennaio
Un anno dopo l'Ue si scopre più spiata. E ritorna la caccia alla «volpe russa»

Ansa

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In guerra i conti non tornano quasi mai. Dall’esatto numero dei soldati morti su entrambi i fronti, ai pezzi d’arma distrutti, all’elenco dei prigionieri. La disinformazione non è solo un’arma della propaganda. Qualche volta è l’esca delle spie per far cadere in trappola i traditori. L’ultimo l’hanno arrestato a fine gennaio a Francoforte. Un agente segreto tedesco di casa negli Usa ma sul libro paga di Mosca. Dodici mesi di conflitto sono anche dodici mesi di caccia parallela alle talpe di Putin. Fino ad ora sono 400 i funzionari delle ambasciate moscovite espulsi soprattutto da governi europei, 30 solo in Italia su ordine dell’allora premier Mario Draghi. A questi vanno aggiunti gli ufficiali infedeli, italiani compresi, e gli infiltrati nelle istituzioni internazionali, come la Corte penale dell’Aja. Una fitta rete di doppiogiochisti e sabotatori che va emergendo dalle operazioni dei servizi segreti occidentali e che era stata mesa in piedi ben prima della guerra. Fin dalla sua configurazione, grazie al mercenario napoletano di origini spagnole Giuseppe De Ribas, che nel 1794 fondò la città sul Mar Nero così come oggi la conosciamo, Odessa con le sue moltitudini di etnie, culture, religioni e viaggiatori, è una piazza attraversata da commerci e mercanti, anche di notizie. E non è un caso che dall’inizio della guerra qui vi sia stato un alto numero di “sabotatori” arrestati e processati.

Qualche volta per far scattare la trappola sono sufficienti informazioni volutamente sbagliate. Come quando un missile russo cade su un casale abbandonato in aperta campagna. Un falso obiettivo fatto conoscere a un sospetto traditore che passa le indicazioni a Mosca, credendo che davvero lì si nascondano uomini e mezzi militari e che grazie a questi spifferi può continuare ad arricchirsi. Ma è quando l’attacco viene sferrato, che non v’è più alcun dubbio su chi abbia fornito le coordinate. Il 52enne tedesco Carsten Linke è uno di questi. I suoi ex colleghi dell’intelligence berlinese e gli americani della Cia lo accusano di aver rivelato alla Russia i magazzini e le postazioni di lancio dei missili Himars inviati dagli Stati Uniti a Kiev. Un genere di razzo che viene spostato agilmente, talvolta a bordo di furgoncini e minivan proprio perché delle dimensioni adatte al trasporto su mezzi insospettabili. Ma se indicare le esatte posizioni di lancio sarebbe più difficile, al contrario meno complicato è stato individuare e segnalare i depositi segreti la cui dislocazione suggerisce le zone di imminente impiego, lasciando dedurre a Mosca le traiettorie della controffensiva ucraina. Linke avrebbe intascato un mucchio di dollari. I suoi trascorsi nell’intelligence gli consentivano di accedere a informazioni “top secret” dai colleghi tedeschi e, attraverso di loro, dai Paesi che stanno sostenendo la difesa armata di Kiev. Non era da solo a giocare la partita da agente doppio. Arthur Eller, il suo complice di 31 anni, è stato invece fermato dal Fbi su un volo da Miami a Monaco. Per gli uomini di Putin, che da agente segreto prestò servizio a Berlino Est, la Germania è più di una ossessione strategica. Perché il destino dell’aggressione all’Ucraina dipende molto dalle scelte tedesche e anche dall’asse Londra-Berlino. Nella capitale del Regno, le spie russe avevano tra gli informatori remunerati David Ballantyne Smith, 58 anni, condannato a 13 anni e 2 mesi di prigione per essersi messo a disposizione degli ufficiali pagatori russi. Da veterano della Raf, la Royal Air Force, era passato a fare il guardiano dell’ambasciata tedesca nel Regno Unito.

Ma occhi e orecchie del Cremlino erano arrivate fin dentro la Corte penale internazionale, che da subito aveva aperto una inchiesta sui crimini di guerra russo. Il Gru, il potente servizio segreto militare, aveva infiltrato Sergeij Vladimirovich Cherkasov che, con una falsa identità e un passaporto brasiliano, era stato ammesso come tirocinante presso l’Aja.

Secondo alcune fin troppo ottimistiche analisi delle cancellerie occidentali, nonostante il suo passato da spia del Kgb, Vladimir Putin non aveva previsto che insieme alla guerra sul campo sarebbe stata scatenata la più grande “caccia alla volpe russa” dalla caduta del Muro di Berlino. Mosca ha reagito moltiplicando le operazioni di cyber spionaggio e non di rado avrebbe usato il flusso dei profughi per infiltrare spie in Europa o spostare agenti da un luogo all’altro. Tra gli sfollati ucraini, infatti, vi sarebbero anche sabotatori addestrati dal Fsb e dal Gru, le due agenzie dell’intelligence postsovietica.

L’interesse di Mosca per l’Italia non è mai cessato. Aise e Aisi, le due agenzie di intelligente del nostro Paese, continuano a guardare dentro e fuori casa, e non hanno mai smesso di cercare le tracce del Cremlino che nel pieno della pandemia aveva inviato, d’accordo con il governo Conte, tra l’altro tre scienziate su cui l’Aise, il servizio segreto per l’estero, continua a nutrire più di un dubbio. Fonti dei servizi segreti italiani confermano ad Avvenire che quelle vicende non sono chiuse e che la guerra in Ucraina non le ha certo fatte archiviare. Come dimostra il caso di Walter Biot, l’ufficiale della Marina arrestato nel 2021 e processato a parire dalle prime settimane dopo il conflitto, accusato di avere passato ripetutamente a un diplomatico russo una serie di segreti Nato in cambio di contanti. Una guerra di spie che è anche una guerra psicologica. Specie quando, come avvenuto ieri notte, 4 missili russi Kalibr sono piombati sulla regione di Odessa bucando il sistema d’allerta che non ha dato l’allarme. Due razzi sarebbero stati intercettati prima dell’impatto, ma gli altri hanno colpito postazioni militari dislocate nell’area. Grazie a informazioni fin troppo precise.

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