giovedì 29 aprile 2021
Il presule italiano ferito a Rumbek: «Sacerdoti coinvolti? Aspettiamo le prove. Si faccia luce su quanto accaduto per arrivare alla riconciliazione. Il Papa venga per portare avanti la pace»
Il vescovo Christian Carlassare: «Ora la verità sul mio agguato»
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«Sì ho saputo delle voci che circolano riguardo al presunto coinvolgimento di membri della diocesi in quello che mi è successo. Ora bisogna solo lasciare che le indagini continuino il loro corso. È una storia molto triste, ma se emergeranno responsabilità interne anche la Chiesa locale dovrà battersi il petto e riconoscere le proprie colpe in una realtà come quella del Sud Sudan, dove è l’unica voce profetica». Dal suo letto d’ospedale a Nairobi, dove è ricoverato per le ferite alle gambe riportate nell’agguato subito nella notte tra domenica e lunedì, padre Christian Carlassare affida queste parole ad Avvenire dopo che fonti locali hanno riferito del fermo di una ventina di persone, tra cui tre membri del clero di Rumbek, in relazione all’imboscata dei giorni scorsi. «Mi è stato riferito che tra i fermati c’è anche padre John Matiang, che ha coordinato la diocesi negli ultimi nove anni – continua padre Christian –. Al momento sia lui che gli altri sono però solo sospettati. Solo la verità, anche se dolorosa, ci potrà indicare quali scelte dovremo prendere. Per la Chiesa è una sofferenza grande, forse necessaria per costruire qualcosa su fondamenta pulite».

Più volte, in questi giorni, il comboniano, la cui ordinazione episcopale è prevista per il prossimo 23 maggio, ha parlato della necessità di «riconciliazione». Subito dopo l’agguato fonti locali hanno indicato come movente il rifiuto da parte di alcuni membri dell’etnia dinka di un nuovo vescovo venuto da un’altra diocesi per rimpiazzare padre John Matiang, che invece è autoctono. E le richieste economiche e di servizi da parte della propria comunità di riferimento possono essere tante. Padre Christian, 43enne in Sud Sudan dal 2005, è convinto che il dialogo possa contribuire a risolvere situazioni complicate. «Le mie ferite alle gambe guariranno, ma sono preoccupato che possa guarire la comunità – continua –. Sono arrivato a Rumbek il 15 e da tutti mi è stato dichiarato il benvenuto. Lo stesso padre Matiang ci teneva che fossi ben accolto, per cui i primi passi sono stati positivi. Ovviamente, però, c’era da fare ancora tutto un percorso. Non sono arrivato a Rumbek come un capo, ma collaborando con tutti e il dialogo è sempre stato positivo».

La diocesi di Rumbek, prosegue padre Christian, «ha una situazione complessa, in cui solo il 12% della popolazione è cattolica. Si è lavorato molto grazie alla presenza di molti istituti religiosi che hanno puntato sulla formazione dei giovani. Le scuole seguite dalla diocesi sono ben 112. È un impegno importante, nella convinzione che l’evangelizzazione parta dall’educazione: è il modo migliore per costruire una società finora ostacolata dalla violenza endemica». La guerra civile degli ultimi anni ha lasciato il segno. «Circolano moltissime armi, utilizzate soprattutto negli scontri tra clan e per difendere il bestiame, il vero conto in banca dei dinka – spiega padre Christian –. Credo sia necessario dare fiducia alle autorità locali anche se c’è molto da fare, soprattutto per il disarmo. La riconciliazione e il dialogo devono riguardare tutti, non solo la Chiesa cattolica».

Papa Francesco nel novembre 2019 espresse il desiderio di un suo viaggio in Sud Sudan. Padre Christian – deciso a tornare nella diocesi prima possibile, dopo un paio di settimane di riabilitazione – auspica «che ciò sia possibile, per portare avanti un’altra fase del processo di pace». Quella pace che, a dieci anni dalla sua nascita, il più giovane Paese africano non ha ancora mai conosciuto.

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