mercoledì 15 gennaio 2025
L’analista Nima Baheli: dopo un anno di scontro con Israele la Repubblica islamica si è indebolita. «Il rilascio di Cecilia Sala può essere interpretato come apertura a Italia ed Europa»
Venerdì 17 gennaio il presidente iraniano Pezeshkian a Mosca firmerà con Putin l’Accordo strategico

Venerdì 17 gennaio il presidente iraniano Pezeshkian a Mosca firmerà con Putin l’Accordo strategico - Ansa

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Andrà a Mosca venerdì il presidente iraniano Masud Pezeshkian: durante il colloquio con il presidente Vladimir Putin è prevista la firma dell’atteso Accordo bilaterale di partenariato strategico globale. Un accordo definito dal Cremlino «molto importante». «L’Iran vuole la pace e la de-escalation nella regione e nel mondo ed è pronto per negoziati onorevoli e paritari» ha precisato vice capo dell’Ufficio presidenziale iraniano, Mehdi Tabatabaei.

Indebolita sul piano internazionale, instabile socialmente e segnata da correnti politiche avverse. La Repubblica islamica ha tutto l’interesse a riaprire il dialogo «quantomeno con la sponda europea», spiega Nima Baheli, analista geopolitico e di intelligence, intervistato da Avvenire quando mancano pochi giorni all’insediamento di Donald Trump. E lo scambio Sala-Abedini si è consumato.

Come si presenta oggi la Repubblica islamica al mondo?

Un anno di scontro pieno con Israele l’ha modificata in diversi modi. La morte del presidente Ebrahim Raisi nella caduta dell’elicottero su cui stava viaggiando (19 maggio 2024, ndr) ha creato le condizioni per la candidatura di un successore aperto sia alle istanze interne sia a quelle esterne: la vittoria di Masoud Pezeshkian, di etnia azero-curda e di posizioni più moderate rispetto a Raisi, poteva essere positiva… Non a caso, nel suo gabinetto è stato inserito Javad Zarif, fautore dell’accordo sul nucleare del 2015 (Joint comprehensive nuclear agreement, firmato dall’Iran con i Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu – Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti –, Germania e Unione Europea).

Poteva? Non ci sono più possibilità secondo lei?

No, no, Pezeshkian punta ancora a un accordo, quanto meno con la sponda europea. A novembre, e di nuovo nei giorni scorsi a Ginevra, si è tenuto un incontro fra iraniani e francesi-tedeschi e inglesi. Il cosiddetto gruppo E3. Questo anche perché la stessa Guida suprema Ali Khamenei è consapevole che la Repubblica islamica è debole: a livello sociale, non sono sopite le istanze che due anni fa avevano fatto nascere il movimento «Donna, vita, libertà». Anzi.

Per non parlare dello scenario estero.

Tutto quello che Teheran aveva costruito in termini di deterrenza nei confronti di Israele e dei suoi alleati tramite l’Asse della resistenza è stato demolito, con Hezbollah decapitata e la perdita della Siria. In questo momento l’Iran gioca di rimessa in Iraq e in Libano.

Sarebbe quindi vantaggioso riallacciare rapporti con l’Occidente?

Sì. E il rilascio della giornalista Cecilia Sala può essere interpretato come un tentativo di apertura al dialogo con Italia, Ue e gli stessi Stati Uniti.

Il rilascio della Sala e la successiva liberazione di Abedini come possono essere letti?

Dopo un’iniziale sottovalutazione, quando non ci si rese conto che l’arresto di Abedini avrebbe potuto innescare una reazione iraniana, si è successivamente fatto un ottimo lavoro di squadra. La Presidente del consiglio Meloni ha adoperato il suo rapporto personale con Musk per facilitare una posizione non ostile statunitense alla non estradizione di Abedini, mentre i servizi segreti dell’Aise hanno velocizzato la gestione del dossier, portandolo direttamente sul tavolo della Guida Suprema e ottenendo la liberazione “sulla fiducia” della Sala, non contestuale a quella di Abedini.

Ricordiamo alcune scelte di Trump in passato.

È il presidente che ha deciso l’uscita dall’Accordo sul nucleare iraniano, portandosi dietro gli europei, e la strategia della massima pressione su Teheran. Rispetto a 8 anni fa, però, l’Iran è meno isolato a livello regionale. Nell’ultimo biennio si sono normalizzati, o meglio distesi, i rapporti con Riad grazie all’aiuto di Pechino. Sarà interessante capire quanto Musk farà sul dossier iraniano, visto che si dice che Trump affiderà anche a lui le relazioni con Teheran.

Qualche segnale già c’è. Ma quali secondo lei gli ostacoli?

Qualche mese fa c’è stato un incontro fra lo stesso Musk e l’ambasciatore iraniano all’Onu. Se le relazioni andassero in questa direzione, allora prenderebbe piede una fazione più moderata, cioè proprio quella rappresentata da Pezeshkian. Al contrario, se dopo questo anno e mezzo in cui la politica della deterrenza si è frantumata, Trump proseguisse con la strategia della «massima pressione », potrebbe prevalere la fazione formata dalle generazioni giovani dei pasdaran, sostenitrice di una dimensione militare del programma nucleare… È un orientamento ancora bloccato dalla fatwa emessa dalla Guida suprema contro le armi di distruzione di massa, ma raccoglie sempre più accoliti.

E gli alleati cinesi e russi?

Potrebbero non approvare questo salto di livello di Teheran come potenza atomica. La Guida suprema non vuole rischiare di inimicarseli.

Qual è ad oggi il rapporto tra clero e componente militare in Iran?

Negli ultimi anni il clero è stato sempre più marginalizzato. Non a caso sui social si diffondono video su atti di disobbedienza civile nei confronti di religiosi. Questi 46 anni di Repubblica islamica hanno portato a una secolarizzazione dell’Iran. Per questo è verosimile che alla morte di Khamenei ci sia una transizione verso un sistema a guida militare. Fondamentalmente alla popolazione interessa migliorar le condizioni economiche e sociali, e la libertà. Se una giunta militare togliesse l’obbligo del velo, già questo sarebbe percepito come un avanzamento.

E Israele?

Gli interessi di israeliani e iraniani non collidono. Buona parte degli iraniani ce l’ha di più con gli arabi che con gli israeliani. Non dico che ci sarebbe una normalizzazione con Israele, ma forse sarebbe accantonata l’ostilità esplicita.

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