giovedì 18 aprile 2024
Il testo ha ottenuto 12 voti a favore, 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti. Per essere ammessa doveva ottenere 9 si e nessun veto
Una donna fra le macerie del campo di al-Nusairat, nella Striscia di Gaza

Una donna fra le macerie del campo di al-Nusairat, nella Striscia di Gaza - Ansa

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l'adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti. La brevissima bozza presentata dall'Algeria "raccomanda all'Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell'Onu". Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall'Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

Intanto, restando ai fatti, nel raid israeliano a Rafah di mercoledì sera sono morti cinque minori assieme a tre loro familiari. L’attacco è avvenuto nel quartiere di al-Salam, nel mirino è finita la famiglia Ayyad sfollata da Gaza City. Un altro ragazzo, Zein Oroq, 13 anni, è stato colpito a morte da un pacco di aiuti lanciata dal cielo su Gaza City mentre correva per riuscire ad accaparrarsi una lattina di fave e un pacco di riso o farina. A novembre, era rimasto ferito nel raid che aveva distrutto la sua abitazione e ucciso 17 suoi familiari. Stando al ministero di Hamas, sarebbero 33.970 i morti, 71 in più rispetto al giorno precedente. Proseguono i raid anche nel sud del Libano, dove due miliziani di Hezbollah sono stati uccisi nell’area di Kfarkela. Sul fronte politico, è stato messo in agenda per la tarda serata di ieri il voto in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla proposta di ammettere la Palestina all’Onu: di fatto un pieno riconoscimento come Stato. Scontato il veto statunitense. La Palestina, fino a qui, ha avuto lo status di “membro osservatore”.

Per il resto, si rincorrono indiscrezioni e dichiarazioni. Come quella pubblicata dal giornale arabo londinese al-Araby al-Jadeed, ripreso dai quotidiani israeliani, secondo cui ci sarebbe il via libera degli Usa all’offensiva su Rafah in cambio della rinuncia israeliana a un attacco di ampia portata in Iran. La notizia ieri è circolata con insistenza. Poi il sito americano Axios, solitamente ben informato, ha citato dirigenti americani che avrebbero smentito «categoricamente» che uno «scambio» come quello descritto sia tra le opzioni considerate. Sembra più certo, invece, che funzionari di Tel Aviv e Washington abbiano tenuto colloqui online su Rafah. Tre fonti israeliane hanno rivelato alla statunitense Abc News che per due volte Tel Aviv è stata sul punto di sferrare l’attacco diretto all’Iran. All’emittente un alto funzionario americano ha detto che è improbabile che l’offensiva avvenga prima della Pasqua ebraica, che comincia lunedì e durerà sette giorni. Un documento riservato israeliano visionato dal New York Times rivela che l’assassinio a Damasco del generale iraniano Mohamad Reza Zahedi, all’origine dell’escalation, era pianificato da due mesi. Ma Tel Aviv avrebbe sottovalutato la reazione iraniana. Le Guardie della rivoluzione islamica hanno dichiarato che «Teheran riconsidererà la sua politica nucleare se Israele minaccerà gli impianti nucleare iraniani». In questa fase di incombente escalation, sembrano archiviati i colloqui per una tregua a Gaza e il rilascio dei 133 ostaggi o almeno di quelli che restano in vita. Tuttavia un alto funzionario di Hamas, Mousa Abu Marzouk, sostiene che il gruppo non si è ritirato dai negoziati, secondo quanto riporta l’emittente israeliana Kan. A fare un passo indietro potrebbe essere invece uno dei mediatori: il Qatar. Il primo ministro Mohammed Al Thani, scrive Yedioth Ahronoth, ha dichiarato che il Paese sta «riconsiderando» il suo ruolo dal momento che «è stato strumentalizzato da alcuni politici per i loro interessi privati». Il riferimento è al governo di Benjamin Netanyahu che ha più volte accusato Doha di finanziare il terrorismo di Hamas. Se i qatarioti dovessero ritirarsi, i turchi sarebbero pronti a subentrare. Il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha incontrato in Qatar il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. E domani lo stesso Haniyeh sarà ricevuto ad Ankara dal presidente Recep Tayyip Erdogan: al centro dell’incontro, l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione e i tentativi di arrivare al cessate il fuoco. Alla fine della scorsa settimana, erano stati prima il Segretario di Stato americano Antony Blinken e poi il capo della Cia William Burns a chiedere ad Ankara di mediare per evitare un’escalation tra Israele e l’Iran. E per il 9 maggio Erdogan è atteso da Biden alla Casa Bianca. Prove di potere politico, mentre a Gaza si muore.

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