venerdì 12 febbraio 2021
Azzerato il piano Remain in Mexico di Trump: sono 67mila le persone che attendevano da due anni il visto. A molti era stato impedito di presentare la richiesta per ragioni sanitarie
Bimbo fermato al confine Usa

Bimbo fermato al confine Usa - Reuters

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Adiós al muro di Donald Trump. L’immensa barriera fisica, che avrebbe dovuto blindare la frontiera sud da Tijuana al Golfo del Messico, è ufficialmente archiviata. Joe Biden ha congelato i 2,6 miliardi di dollari di fondi di emergenza destinati dal predecessore a costruirla. Fin qui nessuna sorpresa. Più volte, in campagna elettorale, il leader democratico aveva detto di voler chiudere una questione che, tra l’altro, nemmeno lo stesso tycoon era riuscito a portare avanti, per impossibilità tecnica e finanziaria. L’autentica svolta migratoria di Biden riguarda “l’altro muro” di Trump – quello innalzato non coi i reticolati ma con le leggi – edificato dalla precedente Amministrazione con la cooperazione – più o meno estorta – dei governi vicini. Incluso quello del leader della sinistra messicana, nonché acceso nazionalista, Andrés Manuel López Obrador, il quale ora si è affrettato a salutare il nuovo corso come una «svolta storica». Cardine di tale progetto politico è stato il programma Remain in Mexico: l’invio, a partire dal 28 gennaio 2019, di 67mila richiedenti asilo negli Usa – tutti non messicani – dall’altro lato del confine fino alla decisione dei giudici sull’accoglimento della domanda.
Alcuni attendono da oltre due anni. Se già prima le istanze venivano esaminate con il contagocce, il Covid ha letteralmente bloccato i procedimenti. E decine di migliaia di profughi – provenienti dal centro e sud America – sono rimasti intrappolati dalla pandemia nelle ultra-violente città lungo la frontiera messicana, controllate dai potenti cartelli del narcotraffico. Molti nemmeno hanno potuto presentare la richiesta per «ragioni sanitarie». Gli «ostaggi del virus», li ha definiti la stampa. Le organizzazioni umanitarie hanno registrato almeno 1.300 sequestri di migranti ma il numero delle vittime, dato che quasi nessuno denuncia, è infinitamente maggiore. Le violenze sono diventate quotidiane. Nonostante ciò Remain in Mexico ha suscitato meno scalpore dentro e fuori dagli Usa rispetto ad altri provvedimenti maggiormente mediatici come la separazione delle famiglie e l’insistenza sul muro. Per questo, gli attivisti erano scettici su una svolta nel breve termine da parte di Biden.


Migranti cercano di raggiungere la frontiera Usa

Migranti cercano di raggiungere la frontiera Usa - Reuters

La stessa Amministrazione era stata cauta, affermando solo la settimana scorsa che «sarebbe stato necessario del tempo» per affrontare la questione. Dal 20 gennaio erano già stati sospesi i trasferimenti in Messico di chi era giunto negli Usa, ma riportare indietro quelli che da anni erano oltre il Rio Bravo sembrava un’utopia. Anche perché la priorità è la regolarizzazione degli 11 milioni di immigrati irregolari da decenni negli States. Joe Biden, invece, ha sparigliato le carte. Dal 19 febbraio – a un mese esatto dal cambio al vertice –, la Casa Bianca avvierà l’operazione ritorno. Un processo «graduale», ha spiegato il segretario alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas. Per primo, verrà fatto rientrare negli Usa – previo tampone e quarantena – un gruppo di 25mila profughi, i cui procedimenti per l’asilo siano già, in qualche modo, cominciati. I destinatari verranno invitati a presentarsi a due valichi al ritmo di trecento al giorno. I nomi dei punti di passaggio non sono stati rivelati, per evitare assembramenti anche se, con tutta probabilità, dovrebbe trattarsi di El Paso e Brownsville.
Gli altri dovranno aspettare: ma – ha precisato la Casa Bianca – «ci saranno nuove opportunità». Il loro numero, al momento, non è certo dato che, dopo anni in una terra di nessuno, in condizioni disperati, molti dei 67mila profughi hanno cercato di tornare a casa. O sono semplicemente spariti, ingoiati nel buco nero delle mafie messicane. Allo smantellamento di Remain in Mexico, Biden ha abbinato l’altro asse del muro legale trampiano, cancellando gli «accordi di Paesi terzi sicuri» con El Salvador, Guatemala e Honduras che consentivano di inviare anche in queste nazioni i profughi in attesa della risposta sull’asilo. Una politica paradossale dato che questi Stati, con livelli di violenza “bellica”, sono proprio le principali terre dell’esodo. Restano in vigore, invece, le espulsioni express dei nuovi arrivati al confine. «Non possiamo permettere un’entrata in massa», ha precisato la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Il rischio – Biden ne è consapevole – è di perdere il consenso del centro repubblicano e vedere affossato il progetto di riforma per gli 11 milioni di indocumentados, traguardo inseguito da tutti gli ultimi predecessori, Trump escluso.>

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