venerdì 12 luglio 2013
​Un uomo è stato rapito e decapitato nel Sinai, nella zona di Luxor due vittime di violenze. «I pretesti per ucciderci sono futili». La comunità è accusata di avere appoggiato la caduta del regime di Morsi.
EDITORIALE Golpe e legittimazioni. L'Egitto cerca la sua via di Romano Bettini
REPORTAGE I Fratelli in piazza per il Venerdì della resistenza. «Non c'è rivoluzione senza sangue» (Giorgio Ferrari)
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Continua a scorrere sangue cristiano nell’Egitto del dopo Morsi. Nella sola giornata di ieri sono stati tre i cristiani copti ritrovati uccisi, in una spirale di odio interreligioso che si sta inasprendo, giorno dopo giorno, dall’annuncio della destituzione del presidente islamico, lo scorso 3 luglio. Il caso più macabro a Sheikh Zuweid, un villaggio di beduini nel Sinai del Nord, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza. Legato mani e piedi e decapitato, il cadavere di un venditore ambulante cristiano, il sessantenne Magdi Habashi, è stato ritrovato ieri nel cimitero della cittadina. L’uomo era stato rapito lo scorso sabato, proprio mentre nella vicina città di al-Arish, alcuni militanti armati uccidevano il prete copto ortodosso Mina Abboud Sharobeen. All’alba di ieri, altri due copti trovati morti a Dbaa, vicino Luxor. Questa volta nell’ambito di una faida familiare, innescata manco a dirlo da motivazioni religiose. Due settimane fa il primo morto, un musulmano. Poi la rappresaglia: tre copti uccisi nel giro di poche ore, le loro abitazioni date alle fiamme, le famiglie costrette a rifugiarsi nella locale parrocchia ortodossa. «Temiamo che odio e violenza contro i cristiani ricomincino anche qui al Cairo» dice Eva Botros, volontaria a tempo pieno nella chiesa evangelica di Kasr el-Dobara, che sorge alle spalle di piazza Tahrir. «Le frange più estremiste dei Fratelli musulmani non accettano la deposizione di Morsi e del suo regime – aggiunge Eva, che dirige l’ospedale da campo creato due anni fa nel cortile della chiesa – ci aspettiamo altri attacchi. Ormai siamo stigmatizzati non solo in quanto copti, ma come traditori da punire». «I pretesti per ucciderci sono sempre più futili – osserva anche Daniel Malek, uno dei cristiani che continuano a sfidare l’afa per presidiare piazza Tahrir – basta una camicia bruciata. A Dahshur, a sud del Cairo, si è scatenata una guerra civile per un banale errore di stiratura di un lavandaio cristiano ai danni di un islamico. Per non parlare del Sinai, dove è in atto qualcosa di più torbido. Un attacco alle istituzioni, oltre che ai cristiani».Notizia di ieri è l’offensiva mossa dall’esercito egiziano nel nord della penisola. Decine di vittime e centinaia di catture tra i miliziani islamici operanti nell’area, tra i quali almeno 32 militanti di Hamas. Poche ore prima, a Sheikh Zuweid, un gruppo di militanti armati aveva aperto il fuoco sull’auto del generale egiziano Ahmed Wasfi, comandante del secondo Corpo d’armata dispiegato al confine con Israele, senza però colpirlo. La tensione resta quindi alle stelle, anche nella capitale dove oggi i Fratelli musulmani vogliono replicare la marcia di venerdì scorso: una prova di forza finita nel sangue.
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