sabato 23 settembre 2023
Varsavia sembrava un modello di supporto occidentale all’Ucraina, ma qualcosa sta cambiando
Un vecchio carro sovietico arrugginito, per anni in dotazione all'Ucraina, con l'ironica scritta "Leopard"

Un vecchio carro sovietico arrugginito, per anni in dotazione all'Ucraina, con l'ironica scritta "Leopard" - Ansa

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Sembrava un modello di supporto occidentale all’Ucraina ma, con un brusco voltafaccia, Jaroslaw Kaczynski, eminenza grigia del governo polacco, ha sbattuto la porta in faccia a Kiev, imponendo un embargo durissimo all’import di cereali e bloccando l’export di armi: «Non ne cederemo più all’Ucraina. Quelle moderne che stiamo acquistando ci servono per difenderci», ha rincarato il capo dell’esecutivo, Morawiecki. Per addolcire la pillola, Varsavia ha comunicato tuttavia che l’hub di Rzeswoz continuerà a fungere da porta girevole per le armi Nato dirette al fronte ucraino. È il trionfo dell’egoismo polacco, che con la guerra in Ucraina ha fatto affari d’oro, perché si è liberato dei “ferri vecchi” sovietici e ha potuto lustrare l’arsenale con armi all’avanguardia.

Dal 24 febbraio, la politica del PiS è diventata devastante. Ha piazzato almeno ventiquattro ordini maggiori per nuove armi, giustificandoli con la minaccia russa alle porte. «Dopo l’Ucraina, saremo noi la prossima vittima», è il “mantra” ripetuto a Varsavia. Una logica da autentica follia: i 500 lanciarazzi Himars in arrivo costeranno 10 miliardi di dollari e ci sarà da sborsare pure per gli 82 jet americano-coreani, i 1.366 carri armati, i 700 semoventi e l’infinità di sistemi antimissili, antiaerei e antinave già ordinati. Alcuni circoli vicini al potere, prudenti, ammoniscono: «Se finissero i soldi, ci giocheremmo la vittoria alle parlamentari del prossimo 15 ottobre».

Ma come fa la Polonia, non florida, a permettersi questo “shopping compulsivo”? Con una serie di “trucchetti”: primo, aumentando vertiginosamente il bilancio bellico, lievitato in un anno da 12 a 20,5 miliardi di euro (4% del Pil). Secondo, attingendo a un fondo extrabilancio di 8 miliardi, finanziato dalla Banca nazionale con obbligazioni sovrane da reinvestire in armi. Ma la beffa è che pure noi europei paghiamo la bulimia polacca, con il Fondo per la pace (Fep), altro cespite extrabilancio, che serve a Bruxelles per tradire i trattati comunitari, che proibiscono l’impiego del budget a 27 per scopi militari.

Il Fondo sta addirittura crescendo, balzato a giugno da 8 a 11, 5 miliardi di euro. E viene il dubbio che la lobby polacca abbia tramato con successo, per sfilare altro denaro ai quattro Paesi che si sobbarcano il peso del gettito: Germania (25%), Francia (18%), Italia (13%) e Spagna (9%). Volente o nolente, Bruxelles sta rimborsando a Varsavia il prezzo delle armi sovietiche finite al fronte, garantendole denari per acquisti bellici.

Ma i jet, i carri e le artiglierie in arrivo in Polonia parlano tutti americano e coreano. Un autentico “harakiri” europeo, a vantaggio di Pgz (Gruppo polacco d’armamento) e dei mercanti di morte stranieri. Grazie ai trasferimenti tecnologici, la Polonia imbastirà un’industria nazionale competitiva, che spiazzerà in futuro i prodotti europei. Il think thank Iris denuncia: «Varsavia non sta contribuendo ai programmi cooperativi continentali». Si sta vincolando invece ad attori extraeuropei e li sta accompagnando nel boicottaggio dell’autonomia strategica continentale. A tutto vantaggio dell’imperialismo americano e degli affari di morte dei pescecani d’oltre mare, senza considerare che un’Ue debole sarà sempre più alla mercè dell’espansionismo russo. Un affare inquietante.

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