Odessa colpita al cuore: distrutto il mercato storico, compromesso il porto
di Nello Scavo
Colpito anche il viale pedonale sulla Scalinata Potemkin. I raid hanno centrato luoghi storici e i magazzini del grano. Più di 60 tra case private e condomini danneggiati.

«Se Odessa è Russia, perché la vuole distruggere?». La domanda con cui pochi giorni fa il venditore di olive greche rispondeva a chi tra i banchi dello storico mercato centrale di Privoz gli chiedeva del futuro ha avuto una risposta prima dell'ultima alba. Il suo chiosco è stato divoratoinsieme a quello del vicino di origine asiatica, che esponeva salsicce, e a quello della signora sposata a un italiano, che coomerciava in profumi orientali e sapone di Aleppo.
Del mercato coperto di Privoz è rimasto solo l’ingresso, il resto è in fumo dopo una notte di attacchi sul porto, sulla passeggiata che apre alla leggendaria Scalinata Potemkin che discende al mare, sul centro della città che secondo il Cremlino non ha alternative al destino russo.
«Dentro c’era l’odore di molti mari e di splendide vite a noi sconosciute», scriveva Isaak Babel, raccontando uno scorcio di quel mercato nelle sue “Storie di Odessa”, dalle quali tramandava le vite di banditi, mercanti e contrabbandieri odessiti del primo Novecento.
Sono andate distrutte abitazioni private, magazzini, infrastrutture civili. E non si ha notizia di obiettivi militari colpiti. Intorno al mercato Privoz ci sono le più importanti infrastrutture logistiche per chi intende spostarsi dalla città che affaccia sul Mar Nero. La stazione ferroviaria, quella dei bus, e da lì i grandi viali che conducono fuori città e in direzione opposta verso quello che un tempo era il più trafficato porto del Mar Nero.

Le immagini che arrivano da Odessa raccontano di un’altra notte d’inferno. Palazzi sventrati, strade squarciate, la corsa dei soccorritori mentre ancora si contano i feriti. Nelle ultime settimane la città che era ritornata a vivere lontanamente sumulando le sfrenate estati di un tempo, aveva però preso l’abitudine di non sottovalutare più il tormento delle sirene d’allarme, correndo in fretta nei rifugi. E solo questo sta evitando continue stragi notturne.
Le autorità locali stanno facendo la conta dei danni. E stavolta non sarà facile rimettere in sesto quello che rimane delle attività portuali. Giorni fa “Avvenire” aveva rivelato del tentativo russo, sventato d’un soffio, di distruggere il porto colpendo alcuni depositi di sostanze chimiche. Questa notte l’incubo si è in parte materializzato. Oltre ai luoghi simbolo della città sono stati colpiti depositi di grano e cereali, attrezzature di carico, materiale rotabile, binari destinati ai convogli merci, la sala controllo della movimentazione ferroviaria nell’area del porto, secondo quanto riferito dal vice primo ministro per la ricostruzione Oleksiy Kuleba. Non sono stati menzionati obiettivi militari, anche se in città tutti sanno che nascoste tra le banchine e le gru ci sono alcune postazioni mobili della contraerea ucraina e nello scalo marittimo fanno base le poche motovedette dotate di sistemi di difesa antiaerea.


All’alba si contavano più di 60 tra case singole e condomini danneggiati, oltre a un asilo nido e alcune strutture sociali nel centro di Odessa.
Lo scopo non dichiarato negli attacchi di questi ultimi giorni è far ripiombare la città nel terrore e costringere decine di migliaia di residenti ad andare via, dopo essere rientrati in massa quando alla fine del 2022 si è compreso che Mosca non era in grado di catturare la preda più ambita nel sud, la città meno ucraina con le sue 133 nazionalità, ma non per questo la più russa. C’è un modo di dire da quelle parti. Una contorsione che a Mosca faticano a comprendere: «Odessa non è l’Ucraina, ma l’Ucraina è Odessa».
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