La Corea del Nord fa paura: «Potrebbe avere fino a 150 testate nucleari»
di Luca Miele
Secondo Seul l'arsenale atomico di Kim Jong-un continua a crescere a ritmi vertiginosi. Si teme l'effetto emulazione

Quanto è grande la minaccia nordcoreana? Qual è il reale perimetro della potenza nucleare di Pyongyang? Più ampia di quanto è stato finora pensato (e stimato). Non solo: l’arsenale del regime nordcoreano cresce a ritmi vertiginosi ed è “potenzialmente in grado di rimodellare il panorama strategico della Penisola coreana nei prossimi due decenni”. L’affondo arriva dal Korea Institute for Defense Analyses (Kida) che “azzarda” numeri impressionanti. Pyongyang, secondo l’istituto di ricerca sudcoreano, possiede oggi “tra 127 e 150 testate nucleari”. La stima – scrive il Korea Herald – “è più del doppio delle cifre comunemente citate da altri istituti globali, che stimano le scorte nordcoreane a circa 50 ordigni”. Lee Sang-kyu, capo della divisione di ricerca sulla sicurezza nucleare del Kida, prevede che l'arsenale della Corea del Nord possa arrivare a circa 200 armi atomiche entro il 2030 e superare le 400 entro il 2040. “La Corea del Nord ha ampliato e modernizzato i suoi siti per migliorare la sua capacità di produrre materiale nucleare", ha affermato Lee. L'ordine di Kim Jong-un di aumentare "esponenzialmente" la produzione di testate continua a spingere verso una maggiore capacità di arricchimento.
L’ascesa della Corea del Nord certifica un rimescolamento geopolitico che minaccia alterare equilibri consolidati, spingendo gli altri attori regionali – Seul e Tokyo prima di tutti – a una corsa “mimetica” al riarmo nucleare. E che unisce in un bizzarro filo rosso Cina e Stati Uniti. Ad essere evaporato è il mantra della "denuclearizzazione completa della Penisola coreana", un tempo obiettivo strategico sia per Washington che per Pechino: è scomparso dai rispettivi documenti strategici ufficiali.
La Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti del 2025, licenziata pochi giorni fa dall’amministrazione Trump, ignora semplicemente il "dossier" Corea del Nord. L'omissione, sottolinea la stampa di Seul, segna una netta inversione di tendenza rispetto al precedente documento strategico, pubblicato nel dicembre 2017 durante il primo mandato del tycoon, che identificava la Corea del Nord come una minaccia di secondo livello insieme all'Iran e stabiliva l'obiettivo di raggiungere una "denuclearizzazione completa, verificabile e irreversibile della Penisola coreana". La stessa evanescenza è rintracciabile nella produzione strategica di Pechino: la Cina ha eliminato il termine "denuclearizzazione completa" dal suo Libro bianco sul controllo degli armamenti, aggiornato il 27 novembre, per la prima volta dal 2005.
"Un piano di sicurezza statunitense che minimizza la Corea del Nord, esaltando al contempo il ruolo della Corea del Sud lungo la prima catena insulare, si è scontrato con la silenziosa normalizzazione cinese dello status nucleare di Pyongyang, riducendo lo spazio diplomatico della Penisola", ha spiegato George Hutchinson, caporedattore dell'International Journal of Korean Studies. "Il risultato è un quadro strategico in cui alla Corea viene chiesto di assumersi maggiori oneri regionali e globali, proprio mentre le alleanze e le partnership necessarie per sostenerle stanno diventando meno affidabili".
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