Il pressing della diplomazia: «Sì allo Stato di Palestina»

Gli appelli degli ex ambasciatori, da Roma a Berlino, da Londra a Bruxelles: stop al commercio di armi con Israele e sanzioni agli insediamenti illegali. In Italia raccolte 50mila firme
August 3, 2025
Il pressing della diplomazia: «Sì allo Stato di Palestina»
Darren Staples / Alamy Stock Photo | Manifestazione pro Palestina in Gran Bretagna
Una “scossa diplomatica” dall’Italia fino a Bruxelles con l’obiettivo di scuotere l’algida sede della Commissione Europea a Palais Berlaymont, oltre che Consiglio e Parlamento. Un moto di sdegno degli ambasciatori in pensione di Italia ed Europa che chiedono azioni concrete per fermare la tragedia di Gaza, ma anche specchio dell’inadeguatezza europea. La mobilitazione subito dopo l’annuncio di Emmanuel Macron di voler riconoscere la Palestina, e appena prima che anche il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul aprisse a tale ipotesi ma solo al termine di un processo di pace ma che deve «iniziare ora». Un via libera al riconoscimento dopo che 12 ex ambasciatori tedeschi in Medio Oriente, con un’altra lettera, avevano criticato la posizione attendista della Germania.
La levata di scudi degli ex rappresentanti diplomatici italiani parte da una netta scelta di campo, perché «ci sono momenti nella storia in cui non sono più possibili ambiguità né collocazioni intermedie». Rompendo il tradizionale riserbo, al premier Giorgia Meloni si chiede perentoriamente di «riconoscere lo Stato di Palestina». Le firme sono pesanti: da Pasquale Ferrara, promotore dell’iniziativa ed ex direttore degli Affari politici della Farnesina a Ferdinando Nelli Feroci, ex rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue e commissario europeo per l’industria con Manuel Barroso; da Rocco Cangelosi, ex consigliere diplomatico a Palazzo Chigi a Stefano Stefanini, già ambasciatore permanente dell’Italia presso la Nato.
Un testo intriso di indignazione: gli «esecrabili» attacchi di Hamas del 7 ottobre «non hanno più alcuna relazione» con «l’orrore perpetrato da Israele nella Striscia». Da mesi assistiamo a «crimini contro l’umanità», «crimini di guerra» ed a una «costante inosservanza della legalità internazionale» da parte del governo israeliano che «minano le stesse fondamenta della comunità internazionale» scrivevano i quaranta ex diplomatici, ora diventati una settantina. Ora servono «gesti diplomatici concreti»: sospendere ogni cooperazione militare con Israele; sostenere l’iniziativa di sanzioni Ue contro ministri di Tel Aviv, come Smotrich e Ben-Gvir, che incoraggiano gli insediamenti illegali in Cisgiordania; richiedere una sospensione temporanea dell’Accordo di associazione tra Israele ed Ue. Un appello che messo in rete ha raccolto quasi 50mila firme con una petizione online su “change.org”.
Un “bradisismo diplomatico” ormai a dimensione europea: giovedì, 58 ex diplomatici dell’Ue si sono rivolti ai vertici di Bruxelles per denunciare «l’orribile spettacolo di Israele» che compie «atroci crimini contro il popolo palestinese». La richiesta a leader e governi dell’Ue è sempre di sospendere le esportazioni di armi verso Israele, vietare il commercio con gli insediamenti illegali nei Territori, sospendere l’Accordo di associazione Israele-Ue e i programmi di ricerca Horizon Europe. Chieste pure sanzioni contro ministri e funzionari israeliani responsabili di crimini di guerra e il riconoscimento della Palestina. Richiesta quest’ultima fatta pure da una cinquantina di ex ambasciatori britannici al premier Keir Starmer.
Drammatici i toni dei diplomatici dell’Unione, evidente sintomo della inadeguatezza delle istituzioni comunitarie nel disordine internazionale della “Terza guerra mondiale a pezzi”. Una conferma è la decisone della Slovenia che, prima in Europa, ha vietato il commercio e il transito di armi da e verso Israele. Lubiana ha detto di aver agito da sola perché l'Ue «non era in grado di adottare misure concrete». Inadeguatezza del “gigante economico” senza Esteri e Difesa comune . «Il silenzio e la neutralità di fronte al genocidio costituiscono complicità» concludono i diplomatici europei. Sinora l’Alto rappresentante Kaja Kallas, pur condannando ogni cambiamento territoriale o demografico a Gaza, si è limitata ad avvertire Israele che «tutte le opzioni sono sul tavolo». Ma il vincolo di una decisione all’unanimità per il riconoscimento della Palestina sembra essere già una condanna al silenzio.

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