Il cardinale Sako: «In Iraq è l’anarchia, milizie integrate nel governo»

È stata la prima Pasqua del patriarca, rifugiato a Erbil, lontano da Baghdad: le milizie sono ormai integrate nel governo. «La politica non ha tratto profitto dalla visita di papa Francesco
April 2, 2024
Il cardinale Sako: «In Iraq è l’anarchia, milizie integrate nel governo»
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Una Pasqua a Erbil, la prima da quando è patriarca, per il cardinale Luois Sako, che a luglio ha lasciato la sua sede. A Baghdad c’è «anarchia» e «quella milizia ha mosso accuse verso di me che non sono giustificate. Sono già stato una volta in tribunale. Basta!», esclama ridendo un po’ amaramente. È il travaglio della sua stessa piccola Chiesa, sempre più minoranza, sballottata in un Medio Oriente dal 7 ottobre più instabile che mai.
Cardinale Sako, patriarca caldeo di Baghdad, a settembre un devastante incendio a Qaraqosh ha gettato nello sconforto i cristiani iracheni: decine di famiglie hanno poi ripreso la via dell’esilio. Come sta il «piccolo gregge», la sicurezza resta sempre il principale problema?
Non c’è stabilità, non c’è una visione politica chiara per costruire un Paese nella giustizia, nella legalità, basato sulla cittadinanza. La confusione, la corruzione continuano, il settarismo è molto forte e le divisioni sono dappertutto: gli sciiti sono divisi dagli interessi economici, i sunniti lo stesso, i curdi pure e purtroppo anche i cristiani. Ciò che vale oggi sono gli interessi, non i principi morali: tutto può essere cambiato in base agli interessi economici. Durante la Quaresima, abbiamo pregato per la pace in Terra Santa e in Ucraina e abbiamo distribuito più di 100 milioni di dinari (pari a 80mila dollari) per aiutare famiglie bisognose. Penso che anche altre Chiese abbiano fatto altrettanto. Noi caldei abbiamo annullato ogni segno esteriore della Pasqua e non abbiamo invitato nessuna autorità alle celebrazioni della Settimana Santa. Non ci sono state nemmeno feste nelle associazioni: la gente non è tranquilla e continuiamo a lottare per i nostri diritti e per la nostra dignità.
Nella lettera pastorale per la Quaresima lei ha denunciato la mancanza di moralità e di legalità della società irachena. Vivere lontano dalla sua sede è una chiara denuncia. Com’è il rapporto ora con le autorità statali?
Non ho nessun rapporto con le autorità civili, ma sono sempre in contatto con la mia Chiesa: abbiamo continui collegamenti Internet, proseguono le visite pastorali del mio vescovo ausiliare, abbiamo fatto incontri con i sacerdoti. A Erbil sono un po’ come in arresto, ma sempre incontro la gente, aiuto chi ha bisogno economicamente e spiritualmente, e celebro la liturgia in seminario e ogni tanto vado nei villaggi per celebrare le Messe. Il Giovedì santo, e la Domenica di Pasqua le ho passate in due piccoli villaggi cristiani, aiutando due parroci, incontrando e incoraggiando la gente.
Eminenza, due settimane fa il Daesh è tornato a colpire a Mosca. Temete un ritorno del terrorismo anche in Iraq?
Questo è un problema soprattutto per l’Occidente, come dimostra l’attacco in Russia: il Medio Oriente ha già sofferto per il Daesh e al-Qaeda. Questi membri dello Stato islamico spesso sono cittadini di nostri Paesi. Non c’è qui adesso un pericolo così vicino: il problema è per l’Occidente che non conosce bene questa ideologia. C’è un attacco contro l’Occidente perché l’ordine internazionale non è stabile. In Occidente la religiosità è in calo, vi è una forte immigrazione senza conoscere bene la cultura da cui molti provengono: non sono ben preparati per essere integrati. Serve una nuova pastorale da parte della Chiesa per questi immigrati ma anche gli Stati devono fare qualcosa. In queste situazioni l’aspetto morale è molto importante: penso ci sia un vuoto spirituale in Occidente. La laicità dello Stato va molto bene, ma la secolarizzazione è una religione, la ricerca del profitto possono diventa una nuova religione.
Patriarca, il 6 marzo di tre anni fa c’è stata la storica preghiera interreligiosa a Ur, preceduta dall’incontro a Najaf tra Francesco e l’ayatollah Ali al-Sistani: sembrava l’avvio di una nuova stagione di dialogo in Iraq. Poi, però, lei ha denunciato nuove persecuzioni, come pure divisioni tra i cristiani. Qual è il bilancio di quella visita di papa Bergoglio?
Con il governo federale di allora le cose andavano meglio. Adesso le milizie sono con forza integrate nello stesso governo. È una cosa nuova questa. I politici non hanno tratto molto profitto da quella visita del Santo Padre, invece la popolazione ha cambiato il suo pensiero. Non c’è nessuna ostilità verso i cristiani da parte della popolazione musulmana, anzi c’è solidarietà. Tanti ci vengono a dire che non meritiamo tutto questo, ma la politica non tiene conto del bene comune.
La Chiesa irachena, come Lei ha più volte detto, è votata al martirio. Dopo due decenni di guerre e persecuzioni, quale testimonianza è necessaria oggi per essere fedeli alla vostra missione?
La nostra fede è più forte e riusciamo a dare una testimonianza straordinaria anche per i musulmani. La nostra testimonianza tocca gli altri: la fraternità, il perdono, la pazienza, la preghiera. Le Messe sono trasmesse in tv, siamo molto dinamici a livello sociale e religioso, ma la classe politica cerca solo autorità e denaro. L’ex premier Haider al-Abadi, ha affermato che chi non ha una milizia non può essere nel governo. Lo ha detto pubblicamente!
Siete minoranza in forte difficoltà come le altre Chiese del Medio Oriente. Dal Sinodo può venire un sostegno alla vostra presenza anche in Terra Santa, Siria, Libano?
Queste Chiese orientali sono piccole, come pure quelle ortodosse. Tra di noi c’è un dialogo timido, non un lavoro comune. Giorni fa c’è stato un incontro via zoom del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente: erano collegati dei patriarchi e anche alcuni musulmani ma sono dibattiti che non toccano la realtà. Ho chiesto agli imam intervenuti se qualcuno veramente li ascolta. Non basta citare dei versetti del Corano, bisogna fare qualcosa di più. La Chiesa universale è preoccupata, ma non c’è un vero appoggio a queste Chiese che sono la radice del cristianesimo: se si continua così tra 10 anni non ci saranno più cristiani in Iraq e forse anche altrove, in Terra Santa. Siamo soli, chi ci sostiene? Siamo delusi. Certo siamo molto grati al Papa per la sua visita, ma ci vuole un proseguimento.

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