Il boia non ascolta gli appelli: eseguita la condanna a morte di Curtis
di Redazione
Ignorati le richieste, anche della Comunità di Sant'Egidio, di sospendere l'esecuzione (la 30esima negli Usa, l'undicesima solo in Florida) di Windom, un uomo con disabilità cognitiva

Curtis Windom è la 30esima persona negli Stati Uniti nei confronti della quale è stata eseguita la condanna a morte quest'anno; l'undicesima in Florida, un record in negativo per il Sunshine State. Una dodicesima esecuzione in Florida è in programma il 17 settembre. Windom, 59 anni, è stato ucciso con un iniezione letale per il triplice omicidio del suo amico, che gli doveva duemila dollari, della sua ragazza e della madre di quest'ultima, avvenuto nel 1992 a Winter Garden, nell'area metropolitana di Orlando. L'uomo è stato dichiarato morto alle 6,17 di sera, corrispondenti a mezzanotte e 17 di venerdì in Italia.
Il 59enne è stato sottoposto a iniezione letale nel carcere di Raiford nonostante l'accertata disabilità mentale e i numerosi appelli a sospendere l'esecuzione. Gli ultimi appelli per la sospensione sono stati respinti mercoledì dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.«La Comunità di Sant’Egidio esprime il suo profondo dolore per l’avvenuta esecuzione di Curtis Windom. Ad essa si associano i 10mila firmatari dell’appello da lei promosso per la sua salvezza, dalla famiglia di Curtis a quanti negli Stati Uniti, in Italia e ovunque hanno accompagnato i suoi ultimi giorni. - ha scritto la Comunità di Sant'Egidio, che si è battuta per impedire l’esecuzione, o per la sospensione della pena -. Siamo consapevoli che nella sconfitta della morte, tuttavia la resilienza dell’amore e della speranza continuerà a erodere la violenza insita nella pena capitale. Anche in nome di Curtis e delle altre persone detenute continueremo ad impegnarci perché si affermino le ragioni della vita e possa crescere il numero degli Stati che approvano la moratoria e l’abolizione della pena di morte nel mondo».
Contro l'esecuzione della condanna si era battuta l’associazione Floridians against the Death Penalty, i vescovi cattolici della Florida, oltreché la figlia nata dalla relazione tra Curtis e Valerie Davis, la compagna uccisa, che in questi anni ha fatto regolarmente visita al padre in carcere perché lo ha perdonato. «Abbiamo portato i suoi nipoti a trovarlo nella prigione di stato della Florida, abbiamo costruito dei legami nonostante i vetri e le sbarre delle celle, lo abbiamo perdonato, ora come farò a dire a mio figlio che il nonno è stato messo a morte?», ha detto sua figlia.
La «non idoneità» di Curtis Windom alla pena capitale fu certificata dai giudici nel 2012. Non è chiaro perché è stata poi ritirata ma di certo c’è che il condannato ha ricevuto a lungo un’assistenza legale d’ufficio inadeguata: uno dei suoi primi difensori è stato radiato dall’albo perché trovato in stato di ubriachezza durante le udienze e incriminato per truffa. Nessuno è riuscito a far pesare sul verdetto il difficile – perché estremamente povero – contesto sociale in cui Curtis è nato e cresciuto né la sua conclamata disabilità. La sua vita è segnata anche da un grave incidente stradale che lo ha costretto a un ricovero ospedaliero dal quale è uscito con una diagnosi di danno cerebrale permanente.
«Buono, sensibile, ironico, di fede». Così parlava di Curtis la volontaria della Comunità di Sant’Egidio, Lorenza D’Andrea, che dal 1998 ha intrattenuto con lui un rapporto epistolare. È stata lei, che lo ha incontrato di persona solo una volta, in prigione, nel 2010, a convincerlo a riavvicinarsi alla figlia. «Ho una valigia piena delle sue lettere – ha detto – molto lunghe anche se piene di errori. Con me si è sempre raccomandato “fai studiare i tuoi figli”». «Ha vissuto per anni dei racconti che gli facevo della mia vita – ha aggiunto – diventando uno di famiglia. In ogni lettera si preoccupava di farmi sapere che pregava per me, per mio marito e per i miei bambini».
L’ultima missiva, datata 12 agosto, si concludeva così: «Continuate a sorridere. Pace e Amore».
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