I consensi giù, il fronte del no alle concessioni: Zelensky è sempre più solo

Oggi il 58% degli ucraini ha fiducia in lui, era il 65% a giugno. Sui territori da cedere si va dal 61% di “no” a un piano Usa che congela i confini sulla linea del fronte, al 76% che boccia i piani
August 19, 2025
I consensi giù, il fronte del no alle concessioni: Zelensky è sempre più solo
Ansa | Il presidente ucraino Zelensky
Sono almeno due i sondaggi che preoccupano Volodymyr Zelensky. Il primo è quello che racconta il sentimento nazionale di fronte all’eventualità (ormai certa) delle concessioni territoriali alla Russia per fermare la guerra: almeno due terzi della popolazione è contraria a lasciare nelle mani di Mosca il 20% dell’Ucraina che è stata strappata con carri armati e missili. Si va dal 61% di “no” a un ipotetico piano Usa che si baserebbe sul congelamento del conflitto lungo l’attuale linea di combattimento, al 76% che respinge le condizioni del Cremlino di annettersi non solo le terre già conquistate ma anche le parti delle regioni non ancora espugnate: a partire da Lugansk e Donetsk. L’altra rilevazione è quella che certifica come il leader ucraino stia scivolando nei gradimenti: oggi il 58% degli ucraini ha fiducia in lui; era il 65% all’inizio di giugno.
È sempre meno un presidente-eroe quello che si siederà davanti a Vladimir Putin per discutere il futuro del Paese aggredito. Sono lontani i mesi in cui il 90% della nazione lo riteneva il salvatore della patria che nella primavera 2022, all’inizio dell’invasione, aveva evitato la capitolazione e che, nella controffensiva lanciata fra l’estate e l’autunno dello stesso anno, aveva riconquistato la metà dei territori finiti sotto il Cremlino. Ora l’ex attore arrivato al potere nel 2019 con il suo partito “Servitore del popolo”, nome mutuato dalla serie tv di cui era protagonista, vede offuscarsi la sua stella. Vittima della strategia di logoramento russa, ma anche dei suoi stessi errori. Il sogno ucraino – alimentato dall’Occidente – di cacciare i soldati di Mosca è svanito. La crisi militare fra le fila di Kiev che si traduce in una costante avanzata russa su tutto il fronte è il suo maggiore campanello d’allarme. E la mobilitazione forzata ne ha eroso l’attrazione pubblica. «Molti ucraini accusano le autorità di un’insufficiente preparazione alla guerra o della presunta incapacità di porvi ora fine», spiega Anton Hrushetskyi, direttore dell’Istituto di sociologia di Kiev che ha condotto gli ultimi sondaggi. Poi ci sono le ombre che si allungano su Zelensky: le divergenze sulle strategie belliche che hanno portato all’allontanamento dell’amato capo delle Forze armate, Valeriy Zaluzhny; la girandola di epurazioni fra i primi collaboratori; il bagno di sangue per l’incursione nella regione russa di Kursk; il recente blocco delle autorità anti-corruzione che ha costretto Zelensky a una repentina retromarcia sotto la spinta delle proteste di piazza e delle pressioni internazionali. Del resto, sono proprio la guerra “infinita” e il dilagare di ruberie e tangenti le ragioni dell’insoddisfazione verso il presidente, dicono le analisi a campione. A sostenerlo ancora fra la gente nella sua posizione di “comandante in capo” sono sia l’alleanza che ha stretto con l’Europa (progetto che piace a due terzi degli elettori), sia la determinazione con cui tiene alta la bandiera della causa di Kiev nello scacchiere internazionale.
Un presidente debole è ciò che ha sempre voluto Putin. Il politologo ucraino Vladislav Olenchenko usa iperboli e ripete che «Trump imporrà a Zelensky di firmare la pace e di indire le elezioni, garantendo un salvacondotto personale sia a lui, sia ai membri della sua famiglia» fino negli Usa. La deputata liberale Kira Rudyk fa sapere che il presidente non ha il diritto di cedere i territori: «Parlamento e governo sconfesseranno l’intesa». E il sito dei servizi segreti russi riferisce di un incontro segreto nelle ultime settimane sulle Alpi europee fra rappresentanti di Usa e Regno Unito ed esponenti di spicco della politica ucraina: dall’influente braccio destro del presidente, Andriy Yermak, all’ex generale cacciato Zaluzhny, passando per l’ex guida dell’intelligence militare Kyrylo Budanov. Un vertice in cui, annuncia Mosca, sarebbe stato deciso di candidare Zaluzhny al vertice del Paese e di garantire posizioni di primo piano a Budanov e Yermak. In realtà è stato lo stesso Yermak a dichiarare che Zelensky è «il miglior presidente che la nazione possa avere e deve ricandidarsi».
Il tema delle elezioni sospese per la legge marziale è centrale. Anche nei negoziati. Donald Trump ci ha ironizzato alla Casa Bianca davanti a Zelensky che ha ribadito la sua contrarietà al voto sotto le bombe. Gli ucraini – il 71%, stando alle più recenti rilevazioni – bocciano l’apertura dei seggi prima dello stop al conflitto e quindi stanno con il loro capo dello Stato. Però il presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk, ha appena fatto sapere che la macchina elettorale si è già messa in moto con una «procedura speciale che richiederà un’apposita legge» quando si fermeranno le ostilità. I sondaggi dicono che gli aventi diritto guardano con favore sia a Serhiy Prytula, ex attore prestato alla politica, che ha il 50% di fiducia e a Vitali Klitschko, ex pugile e attuale sindaco di Kiev, apprezzato dal 43% degli ucraini. Prematuro affermare che siano capaci di insidiare il presidente in carica. Resta il fatto che Zelensky è l’uomo dei negoziati: almeno della tornata in corso. Ma nessuno può assicurare se sarà anche quello della pace.

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