Ecco la “pax americana” per Gaza: i 21 punti sul tavolo di Trump

Il piano elaborato in collaborazione con il futuro “governatore” Blair, accenna anche al pronunciamento Onu sui due Stati. Oggi il vertice alla Casa Bianca con Netanyahu
September 28, 2025
Ecco la “pax americana” per Gaza: i 21 punti sul tavolo di Trump
ANSA | Una manifestazione pro Palestina a Islamabad, in Pakistan
Il piano in 21 punti, l’ennesimo, che dovrebbe mettere fine alla guerra di Gaza, ricostruire la Striscia e aprire la strada alla nascita dello Stato palestinese gode sicuramente del ciclico, avventato entusiasmo presidenziale americano: «Penso che siamo molto vicini a un accordo. Sono in corso intensi negoziati da quattro giorni e continueranno finché sarà necessario», ha insistito Donald Trump.
Discusso senza asperità dai leader dei Paesi arabi che Trump ha incontrato a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, il processo di tregua e rinascita rappresenterebbe un compromesso fra l’inquietante progetto della “Riviera Gaza” e la “Dichiarazione di New York”, firmata da 140 Paesi e patrocinata da Francia e Arabia Saudita. La sintesi sarebbe quella offerta dal piano di Tony Blair, ex premier britannico al servizio del tycoon ed ex Inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente, presente un mese fa a Washington nella riservata riunione a quattro che ha incluso, oltre al presidente, anche suo genero Jared Kushner, affarista, padrino degli “Accordi di Abramo”, e Steve Witkoff, erede di quest’ultimo nel ruolo di inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente.
Il piano sarà discusso oggi alla Casa Bianca, dove si incontreranno il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il piano Usa ha 21 punti - Withub
Il piano Usa ha 21 punti - Withub
I primi punti del piano sono dedicati alla fine del conflitto: all’accettazione dell’accordo l’esercito israeliano interromperà immediatamente le operazioni e comincerà la ritirata progressiva dalla Striscia.
Entro due giorni tutti i 48 ostaggi, i vivi come i morti, verranno consegnati alle autorità di Tel Aviv.
In cambio Israele libererà diverse centinaia di ergastolani palestinesi e almeno mille gazawi arrestati dal 7 ottobre a oggi. Ai membri di Hamas che «impegneranno per una coesistenza pacifica» verrà garantita l’amnistia, gli altri potranno migrare verso Paesi pronti a ospitarli.
Gli aiuti umanitari entreranno copiosi e verranno distribuiti dall’Onu, dalla Mezzaluna rossa e da altre organizzazioni non legate a Israele o Hamas.
Il punto numero 9 affronta il governo di transizione della Striscia, la perenne Road map della storia palestinese, ed è qui che s’inserisce la figura di Tony Blair, candidato a diventare “governatore” pro-tempore dell’enclave, supportato nell’operazione da una squadra di tecnocrati provenienti dai Paesi arabi e da almeno una figura espressa dall’Autorità Palestinese, incaricata di verificare i paralleli processi di riforma politico-amministrativa della Striscia e della Cisgiordania, prima della riunificazione in uno Stato, nel futuro indefinito.
La “Gita” (Gaza International Transitional Authority) nascerebbe sotto l’egida dell’Onu e avrebbe sede ad al-Arish, nel nord della penisola del Sinai, in Egitto. Blair avrebbe offerto la propria “disponibilità” a patto che nessun gazawi sia costretto a lasciare la Striscia.
A chi deciderà di partire verrà garantita la possibilità del ritorno nell’enclave rifiorita grazie a poderosi investimenti esteri. Disperata tentazione, la fuga, promessa infida e crudele, il ritorno, per quasi due milioni di palestinesi, gli eterni esiliati. Oltre ad essere esclusa da ogni partecipazione al governo, Hamas dovrà abbandonare le armi.
La sicurezza verrà immediatamente affidata a una forza di stabilizzazione internazionale che addestrerà un organismo di polizia palestinese destinato a sostituirla. Se Hamas e le altre milizie dovessero rifiutare la proposta, il piano verrebbe applicato alle aree «libere dal terrore», gradualmente cedute da Israele.
Non è chiaro se la Road map blairiana sia stata presentata ad Hamas, che nega di averla ricevuta e ha offerto alla stampa risposte contradditorie. Fra un punto e l’altro, miriadi di incognite: l’attuale scarsa definizione del piano, il volto di alcuni dei protagonisti, l’indefessa operazione di conquista coloniale in Cisgiordania evocano da parte palestinese l’incubo della «resa» fallimentare di Oslo. Le storiche posizioni del premier Netanyahu (che domani mattina incontrerà Trump alla Casa Bianca) e del suo governo, magnificate nel discorso rivolto alla scarna platea dell’Assemblea Onu, hanno ribadito la totale contrarietà a qualsiasi forma di sviluppo statuale indipendente per la Palestina, che nel caos della disinvolta “Pax americana” potrebbe affondare, e sparire. Alle nebbie del futuro si oppone la feroce realtà della Striscia: ieri sono stati 72 gli uccisi, 48 solo a Gaza City. Sono 750.000, secondo l’esercito israeliano, gli abitanti della città che si sarebbero uniti all’esodo verso le “sicure” aree del sud, tre quarti della popolazione complessiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA