Così gli ucraini stendono le reti sulla città per "proteggersi" dai droni

Nei villaggi lungo il Dnipro, dove passa la linea del fronte, voliere improvvisate rallentano la caduta dei velivoli senza piloti. Gli sminatori: vent'anni per bonificare almeno le strade
September 23, 2025
Così gli ucraini stendono le reti sulla città per "proteggersi" dai droni
N.S. | Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson
Avvicinarsi ai diroccati villaggi lungo la riva che da Kherson risale per chilometri il Dnipro, significa esporsi all’artiglieria e ai cecchini russi appostati dall’altra parte del fiume. E correre al riparo sotto alle immense voliere dentro cui si muovono alla svelta e con il naso all’insù gli irriducibili residenti, che di evacuare non ne vogliono sapere.
«Per sopravvivere da persone libere ci siamo rinchiusi dentro alle gabbie», dice Alla. Le chiamano così, «le nostre gabbie». Reti da pesca posate fra i tralicci, srotolate dal tetto di un palazzo a quello di fronte. A maglie fitte per impedire che le granate sganciate dai mini-droni russi finiscano tra la gente. O almeno per rallentare la caduta dei grossi aerei senza pilota, guadagnando anche solo un secondo in più per gettarsi dietro al primo riparo.
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
Alla ha comprato due macchine da caffè. Le tiene sulla strada, sopra a un carrellino, per i soldati che vanno e vengono dalle battaglie. «Chi può lascia 30 grivne, chi non ha soldi lo prende e basta», dice mentre si aggiusta il grembiule bianco che ormai è la divisa da minuta barista ambulante e sentinella anti-droni. I 60 centesimi di euro per ogni tazza di “americano” non le serviranno ad arricchirsi in tempo di guerra, ma per resistere all’ordine di sgomberare. Una figlia in età da università l’ha lasciata al sicuro in Italia. Lei con il marito è tornata in mezzo ai capanni distrutti dall’incessante tiro russo, che ha trasformato la fertile terra del lungofiume in una trappola di ordigni d’ogni calibro. Le perfide mine antiuomo a forma di farfalla si confondono con il colore del fango. Qui e là proiettili anticarro, granate inesplose, fino ai minuscoli candelotti delle bombe a grappolo. Aspettano solo che qualcuno ci metta un piede sopra. Ogni tanto si sente uno scoppio e si vede uno sbuffo di fumo da quello che un tempo era un campo di girasoli: «Una lepre o una volpe», esclama una ragazza in tuta blu da meccanico. È qui con una squadra di sminatori. Non un lavoro a breve scadenza. «Ci vorranno almeno vent’anni per mettere in sicurezza solo le campagne di questa zona», spiegano i suoi colleghi mentre riprendono fiato in uno dei pochi bar di Snigurivka, un villaggio di case basse e uguali, dove all’ingresso tutti avevano uno spazio per parcheggiare le macchine agricole. Molte giacciono abbandonate e in completa rovina.
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
Tra i campi si vede un altro genere di trattori: piccoli robot cingolati che i cacciatori di ordigni mandano in avanscoperta. L’anno scorso il loro capo ci ha rimesso le gambe, mentre a mani nude sminava il nuovo lotto del camposanto. Sotto i tumuli disadorni di terra e sassi c’erano i corpi dei civili trucidati durante l’occupazione. Messa in fuga dalla controffensiva ucraina, la soldataglia aveva infarcito di tritolo anche il cimitero.
Il reticolo che sovrasta il paesaggio delle terre sulla linea del fuoco, avvolge come dentro a grandi paranze i mucchi di case ancora abitate. «Meglio in queste gabbie che lasciare la terra a loro», riassume il vecchio Andrij, che prende le difese dei compaesani, spiegando perché nessuno taglia più i cespugli: «Non siamo degli incivili. I droni hanno lo stesso rumore dei tagliaerba. Potremmo farlo a mani nude, ma bisogna piegarsi, e loro possono prenderci di sorpresa».
Tutto parla della guerra, anche i momenti di apparente svago. Andrij fuma una pipa scura che alimenta con una improvvisata miscela di tabacco: «Prendo quello che mi portano e lo mischio con quello che hanno lasciato i russi quando sono scappati. Ogni fumata penso a come correvano».
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
Le reti stese in un villaggio nella regione di Kherson - N.S.
In mezzo a villaggi divorati dalla vegetazione, che irrompe scardinando il cemento, vengono dispiegate grandi matasse. Sfidando i tiratori scelti, i volontari dei villaggi insieme ai soldati issano le reti più in alto che possono, coprendo le strade, gli spiazzi, il parcheggio delle ambulanze, il parco giochi.
È la risposta disarmata al “safari umano”, con cui i dronisti russi vanno a caccia di civili. «Sono un obiettivo legittimo», scrivono sui canali Telegram le forze di occupazione. Perché nelle ambulanze, nel camion dei pompieri, negli scuolabus convertiti in corriere per la consegna di cibo e aiuti, secondo gli uomini di Mosca ci sono invece armi ed equipaggiamento da recapitare alle prime linee. Da queste parti non esiste la distanza di sicurezza. Ma se l’angolo dietro cui buttarsi al riparo è a un metro, quel metro può fare la differenza. Nel mirino c’è ora un obiettivo prima inseguito saltuariamente, adesso bersagliato con precisione.
La redazione locale di Suspilne, l’emittente pubblica ucraina, è stata disseminata «da diverse mine sganciate dai militari russi con i droni», informa una nota delle autorità locali. In redazione ci lavorano giornalisti come Olexander Kornyakov, il fotoreporter che il 24 febbraio 2022 riuscì a documentare la mattanza di manifestanti ucraini nella piazza principale di Kherson. Tornata libera, ma «in gabbia».

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