C'è l'accordo per la tregua. L'annuncio di Trump, gioia a Gaza e Tel Aviv
di Nello Scavo inviato a Tel Aviv
Alle 12 locali la firma, presto ostaggi liberi e l'avvio del ritiro israeliano. Nella notte ancora bombardamenti sulla Striscia

La firma a mezzogiorno, la festa già in corso, il timore che qualcosa possa andare di nuovo storto. Due anni di guerra non si cancellano in fretta, ma stavolta è Donald Trump a giocarsi la faccia facendosi garante. L’esercito israeliano conferma di restare lì dove è sempre stato, in attesa che gli accordi diventino una vera tregua. E Hamas non demorde nella sua retorica, forte di una intesa dove tutto si gioca nella “prima fase”, quella che scatterà tra qualche ora, quando alle 12 di Gerusalemme le armi dovranno tacere, i soldati cominciare ad arretrare.
"Sono molto orgoglioso di annunciare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace", ha detto Donald Trump. "Ciò significa che tutti gli ostaggi saranno rilasciati molto presto, e Israele ritirerà le sue truppe a un orario concordato”. I primi passi verso quella che il tycoon chiama con non poco ottimismo "Pace eterna". Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riunito il governo per annunciare l’intesa."Con l'approvazione della prima fase del piano, tutti i nostri ostaggi saranno riportati a casa", ha detto in una dichiarazione. "Questo è un successo diplomatico e una vittoria nazionale e morale per lo Stato di Israele”, ha aggiunto. I media locali gli ricordano però tutti i tentativi falliti, e la pervicacia nel continuare il conflitto quando molti più ostaggi erano in vita e si sarebbe potuto negoziare per loro. Hamas ha confermato di aver raggiunto l’accordo, presentandolo come una vittoria."Affermiamo che i sacrifici del nostro popolo non saranno vani, e che rimarremo fedeli al nostro impegno - mai abbandonando - per i diritti nazionali del nostro popolo fino alla libertà, l'indipendenza e l'autodeterminazione", si legge in una nota del gruppo armato.
Gli ostaggi dovrebbero essere rilasciati entro domenica, quando a Gerusalemme dovrebbe arrivare di persona Donald Trump, per sugellare il suo più importante successo diplomatico e imporre alle parti di andare avanti senza sabotare il piano. Israele si impegna a rilasciare quasi 2mila palestinesi in carcere, di cui almeno 1.700 arrestati a Gaza e 250 militanti condannati con l’ergastolo per avere partecipato alla resistenza armata. Resta fuori il nome di Marwan Barghuti, il più noto e il più atteso. Un leader scomodo per entrambe le parti: troppo forte ancora il suo carisma sull’opinione pubblica palestinese, al punto da minacciare la già precaria esistenza dell’autorità nazionale a Ramallah; e per analoghe ragioni difficile da rilasciare senza che questa sembri un “cedimento” per Netanyahu.
Le autorità di Gaza ancora controllate da Hamas affermano più di 67.000 palestinesi sono stati uccisi, quando gran parte dell'enclave è stata rasa al suolo.
Al cessate il fuoco Hamas non deporrà le armi. E Israele arretrerà lungo le linee stabilite per la prima tappa tenendo il dito sul grilletto. Sarà il momento più difficile. Il gruppo armato non ha per ora l’obbligo di disarmarsi. La priorità sono gli ostaggi da restituire. Una ventina quelli dati ancora per vivi e almeno 28 quelli di cui si cercano i corpi.
Nelle prossime ore si conosceranno altri dettagli operativi: chi amministrerà Gaza, a chi sarà affidata la sicurezza, quale ruolo avranno le parti in conflitto nella gestione del dopoguerra. L’accordo arriva due giorni dopo il secondo anniversario del massacro del 7 ottobre 2023: quasi 1.300 morti in Israele e più di 250 ostaggi trascinati nei tunnel della Striscia. I colloqui in Egitto hanno prodotto una intesa in 20 punti. Se pienamente attuato, avvicinerebbe le posizioni delle parti più di quanto non sia mai accaduto nei precedenti cessate il fuoco con i quali la guerra ha ripreso fiato, permettendo almeno di rilasciare la maggior parte degli ostaggi. Un conflitto che si è evoluto coinvolgendo paesi come Iran, Yemen e Libano e ha rimodellato il Medio Oriente, se si pensa solo alla Siria che non ha più il despota Assad e che prova a ricostruirsi ripartendo dagli ex combattenti affiliati ad al-Qaeda.
Fuochi d’artificio sono stati sparati questa notte in Cisgiordania e anche in alcune strade israeliane. "Non sono l'unico felice, tutta la Striscia di Gaza è felice, tutto il popolo arabo, tutto il mondo è felice”, ha detto un uomo di Khan Yunis, nel sud della Striscia ripreso dalle tv arabe.
Quello che i palestinesi ammassati nel sud della Striscia non sanno ancora è se potranno tornare tra le rovine delle loro case nel Nord. Per la popolazione civile è il dettaglio più importante. Fonti vicine al negoziato al momento escludono che Gaza possa essere ripopolata com’era un tempo. Mentre in Israele i gruppi di coloni ebrei fondamentalisti chiedono insistentemente di poter entrare nella Striscia e colonizzare il Nord di Gaza con la protezione delle forze armate, come già avviene in Cisgiordania. Anche di questo dovrebbe occuparsi il “comitato internazionale” che dovrà gestire la transizione con emissari dell’Autorità nazionale palestinese. Il ruolo di Tony Blair quale “supervisore” del nuovo organismo di governo e mantenimento della Pace deve essere definito. Così come da Ramallah dovranno dare l’ok a una figura palestinese accettata da tutte le parti per la gestione della tregua e della ricostruzione. Il nome più accreditato resta quello di Yasser al-Kidwa, membro di spicco del partito Fatah e nipote di Yasser Arafat. Come se la storia, qui, non abbia mai capitoli che si chiudono davvero.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






