Biden: missione Usa per gli aiuti. Netanyahu tira diritto: «Colpiremo Rafah»

Sfuma la speranza di una tregua per il Ramadan che inizia domenica sera. I Marine presto sulla costa della Striscia: allestiranno un porto per il corridoio marittimo
March 6, 2024
Biden: missione Usa per gli aiuti. Netanyahu tira diritto: «Colpiremo Rafah»
ANSA |
Sfuma la possibilità che una tregua nella Striscia di Gaza entri in vigore prima del Ramadan. La delegazione di Hamas ha lasciato il Cairo, dove si svolgono le trattative con i mediatori egiziani, per volare a Doha a consultarsi con la leadership politica. Dovrebbe tornare al tavolo dei negoziati la prossima settimana, dunque dopo il tramonto di domenica 10 che segnerà l’inizio del mese sacro del digiuno in tutto il mondo islamico. Un digiuno amaro per i 2,3 milioni di gazawi, che difficilmente sarà spezzato dalla solennità del pasto della festa dopo il tramonto. È un precetto che molti non saranno in grado di rispettare, nell’impossibilità fisica e psicologica di rinunciare a quel poco di cibo e d’acqua disponibili e indispensabili alla sopravvivenza in condizioni di debilitazione e prostrazione.
Lo scambio di accuse sulle responsabilità per lo stallo procede di pari passo con i combattimenti e i raid. Un alto esponente di Hamas, Sami Abu Zuhri, parlando con la Reuters accusa Israele di avere «vanificato» gli sforzi dei mediatori. Il gruppo militante chiede il cessate il fuoco prima che gli ostaggi vengano liberati, il ritiro dell’esercito dalla Striscia e il rientro graduale e ordinato degli sfollati. Richieste che il governo di Benjamin Netanyahu considera inaccettabili, esigendo preliminarmente una lista con i nomi di chi è ancora in vita dei 134 ostaggi rimasti. Ufficialmente, i deceduti sono 33, ma un portavoce di Hamas ha dichiarato che potrebbero essere oltre settanta. Non è chiaro neanche se l’organizzazione sia in grado di localizzare tutti i rapiti, essendo stati separati e affidati a gruppi distinti. Lo schema dell’accordo, che sarebbe stato accettato dalle parti, prevede 40 giorni di sospensione dei combattimenti, il rilascio di 40 ostaggi a cominciare dai più fragili, la scarcerazione di circa 300 detenuti e l’ingresso massiccio di aiuti umanitari. L’intesa si incaglia sui dettagli, i tempi e le modalità. E viene da chiedersi quale parte abbia interesse allo stallo.
Il massacro dei civili, di cui da cinque mesi si fa scudo, giova alla causa di Hamas alienando a Israele il sostegno delle opinioni pubbliche internazionali. Ma l’estrema destra al governo con Netanyahu, già duramente contestato prima della guerra per i suoi guai giudiziari e che i sondaggi danno politicamente al capolinea, non ha mai fatto mistero di voler andare avanti fino alla «vittoria totale». Non si presta a interpretazioni la dichiarazione del premier, ieri a una cerimonia militare: «C’è pressione internazionale, e sta crescendo, ma proprio quando la pressione internazionale sale dobbiamo serrare i ranghi, abbiamo bisogno di stare insieme contro i tentativi di fermare la guerra». «Chiunque ci dice di non agire a Rafah ci sta dicendo di perdere la guerra e questo non accadrà». Bibi, com’è chiamato, ha ribadito che gli obiettivi sono «l’eliminazione del regime scellerato di Hamas, il recupero degli ostaggi e la rimozione di nuove minacce da Gaza».
A chiedere a Israele di non colpire Rafah, dove un milione e mezzo di sfollati cerca di sopravvivere, sono gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Europea. Il ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz, ex capo dell’opposizione e premier in pectore per il dopo Netanyahu, è appena rientrato da un viaggio non autorizzato a Washington e a Londra. Eppure l’amministrazione Biden, scrive il Guardian, continua a fornire migliaia di bombe all’alleato, con oltre cento vendite al di sotto dell’importo per il quale è necessario il via libera del Congresso. Per forniture agli alleati più stretti, l’Arms Export Control Act prevede il tetto di 25 milioni di dollari per «importanti equipaggiamenti di difesa» e di 100 milioni per le bombe. Una strategia, quella di moltiplicare il numero delle vendite che non richiedono il passaggio al Congresso, usata in passato dall’Amministrazione Trump per trasferire armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Ora però, secondo il Washington Post, la Casa Bianca vuole evitare il rischio che armi americane siano utilizzare per attaccare Rafah. «Se Israele lanciasse un’offensiva a Rafah senza proteggere adeguatamente la popolazione civile sfollata, questo potrebbe far precipitare una crisi senza precedenti nelle relazioni Usa-Israele, coinvolgendo anche le forniture di armi», spiega l’ex ambasciatore americano in Israele Martin Indyk. Biden e altri funzionari, scrive il Washington Post, «non hanno preso alcuna decisione sull’imposizione di una condizione legata all’uso delle armi made in Usa. Ma il fatto stesso che i funzionari sembrino discutere di questo passo estremo dimostra la crescente preoccupazione» per la crisi a Gaza».
Mentre è salito a 30.800 il numero delle vittime secondo la Sanità di Hamas, prosegue il lancio di aiuti alimentari con aerei americani e giordani, il ministro degli Esteri Tajani ha annunciato l’adesione dell’Italia alla proposta cipriota di un corridoio umanitario marittimo. E lo stesso Biden ha annunciato l’invio di una missione militare per allestire un molo temporaneo in grado di accogliere navi cargo con aiuti. La missione, si precisa, non prevede truppe sul terreno. Per gli aiuti umanitari «Biden non ha voluto aspettare Israele», riferiscono funzionari della Casa Bianca.
Resta caldo il fronte nord tra Israele e il Libano. Decine di razzi sono stati lanciati da Hezbollaz sull’Alta Galilea. A Metulla due palazzine vuote sono state distrutte. Una fonte politica israeliana ha smentito informazioni apparse sui media libanesi secondo cui sarebbe stato indicato nel 15 marzo il termine ultimo per un’intesa politica che eviti un attacco massiccio in direzione del Libano.

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