mercoledì 7 agosto 2019
Il Parlamento vieta la pratica «commerciale» della maternità surrogata. Concessa quella «altruistica»: solo nell’ambito della famiglia e per le coppie sposate da almeno 5 anni con provata infertilità
L'India chiude con l'utero in affitto
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Ieri, la Lok Sabha, Camera bassa del Parlamento dell’India, ha approvato in via definitiva una legge per la regolamentazione della maternità surrogata, vietandone la pratica commerciale e incentivando invece quella altruistica, a favore cioè di membri della stessa famiglia e solo quando le coppie richiedenti – solo di nazionalità indiana è stato stabilito – siano legalmente sposate da almeno cinque anni e con provata infertilità. Un provvedimento atteso da lungo tempo perché, come sottolinea il biologo e divulgatore Aarthi Prasad, «non può essere permessa per il semplice fatto che la scienza la rende possibile». «Nell’ultimo anno l’India ha in effetti portato allo scoperto gli estremi a cui la commercializzazione del corpo femminile a scopo riproduttivo può arrivare. La surrogata è aperta allo sfruttamento, soprattutto in luoghi dove l’ineguaglianza di genere è marcata», sottolinea Prasad. Una pratica dal valore stimato nella stessa India (dati della Confindustria indiana del 2012) di due miliardi di dollari. Non solo incentivata dalle tante necessità che alimentano sfruttamento e interessi al limite o oltre la legalità, ma pure dalla parzialità della legislazione vigente.

La materia, negli anni, sotto la forte pressione della società civile, ha visto diversi interventi politici e giuridici, ma alla base era regolata da linee-guida fornite nel 2002 dal Consiglio per la Ricerca medica, che non ostacolavano la pratica, dando al personale medico indicazioni di massima sulle procedure. La nuova legge al contrario, come sottolineano gli analisti, sembra recepire altre direttive, quella della Legge sui trapianti di organi, vecchia di oltre vent’anni, centrata sulla donazione altruistica, non commerciale, in cui i donatori possono ricevere denaro per coprire i costi degli interventi e delle terapie ma devono essere spinti da «sole ragioni di amore», sulla falsariga di una legge ancora precedente che consente la donazione di sangue anche in cambio di un compenso. Norme che nel tempo hanno visto abusi nella pratica, ma che restano valide nella lettera.

Nei fatti la nuova legge interviene su due temi primari: in primo luogo lo sfruttamento delle donne che in modo diverso, incentivate o consenzienti, partecipavano alla pratica spesso illuse o frodate, altre volte in realtà coinvolte loro malgrado nel traffico di bambini per l’adozione illegale o in quello di organi. Il secondo aspetto sono le pressanti pratiche selettive, che cercavano di fornire alle coppie “committenti” figli secondo standard che implicavano una scelta attenta e lucrosa delle madri surrogate, discriminandone altre, meno retribuite o senza cure e attenzioni adeguate, ma aprendo così anche a una prole di diverso “valore”. Dopo anni di dibattito e interventi a volte contraddittori, come il blocco di fatto nel 2015 da parte della Corte Suprema della pratica surrogata a favore di coppie straniere e dopo il percorso legislativo avviato, ma poi bloccato alla fine dello scorso anno dalla fine della legislatura, la nuova legge dovrebbe ora costituire un deterrente a pratiche ripetute di maternità surrogata a scopo di lucro. Ma sono consistenti i timori che in una società fortemente patriarcale, con un alto livello di infertilità maschile, la pressione ad avere ad ogni costo una prole porti la pratica nell’ombra.

Sotto la spinta di interessi criminali che sfruttano le necessità economiche di molte donne – sono ormai 3mila le cliniche private che offrono la pratica dell’utero in affitto – si teme che le pratiche per la maternità surrogata non scompariranno nel Paese per un semplice atto legislativo, ma saranno solo meno visibili. La diffusione dell’espianto di organi, al di fuori delle strutture approvate, e della prostituzione è infatti una indiretta conferma di questi diffusi timori. Non è un caso che le donne in India siano il 61 per cento dei donatori vivi di fegato e il 74 per cento dei donatori vivi di reni. Il loro ruolo di sostegno e sacrificio nel contesto familiare le espone allo sfruttamento. L’impegno quindi della Commissione nazionale per la Surrogata, organo di coordinamento a livello centrale, e delle simili commissioni che saranno costituite a livello dei vari Stati e Territori come previsto dalla legge, sarà quindi, necessariamente, ad ampio spettro.

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