Una nuova "Rerum Novarum" per l'età dell'Intelligenza artificiale
di Nathan Gardels
Cos’è la “giustizia distributiva” se la ricchezza dipende dalla proprietà delle macchine e non dal lavoro?

Fin dai suoi primi interventi come pontefice, papa Leone XIV ha posto con forza la questione della giustizia distributiva nell’era dell’Intelligenza artificiale. È evidente che egli immagini un aggiornamento ideale della Rerum Novarum di Leone XIII, l’enciclica che nel 1891 denunciò le ingiustizie della Rivoluzione industriale e chiese nuove forme di equilibrio tra capitale e lavoro. Quell’insegnamento non si limitava a condannare lo sfruttamento, ma sosteneva che la risposta alla disuguaglianza dovesse consistere in politiche capaci di «indurre il maggior numero possibile di persone a diventare proprietarie».
Oggi, in un mondo trasformato dall’Intelligenza artificiale, la domanda è inevitabile: che cosa significa “giustizia distributiva” quando la ricchezza non dipende più dal lavoro umano, ma dalla proprietà delle macchine intelligenti? L’economia globale diventerà sempre più un’economia dell’Ia: la tecnologia penetrerà in ogni settore e la creazione di valore sarà sempre più separata dal lavoro umano. La produttività crescerà vertiginosamente, ma una parte sempre più ridotta della popolazione ne beneficerà. La rivoluzione dell’Ia rischia di ampliare ulteriormente la distanza tra chi possiede gli strumenti del progresso e chi ne subisce gli effetti. Il dieci per cento più ricco, già detentore della maggior parte del capitale finanziario, sarà il principale beneficiario di questa nuova economia automatizzata, mentre milioni di lavoratori vedranno diminuire il valore del proprio contributo.
Negli Stati Uniti, il dieci per cento più ricco detiene il novantatré per cento delle azioni; in Europa la stessa fascia possiede quasi il sessanta per cento della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera si divide appena il cinque per cento. In America Latina, le disparità sono ancora più accentuate. Questi dati confermano la formula di Thomas Piketty, r > g: il rendimento del capitale cresce più rapidamente dell’economia. Chi possiede beni produttivi continua ad arricchirsi più velocemente di chi vive del proprio lavoro, e nessuna redistribuzione successiva può correggere stabilmente questa tendenza. Una politica economica adatta all’era digitale deve affrontare la radice della disuguaglianza, non solo le sue conseguenze. Molti vedono nel reddito di base universale la risposta all’automazione, ma esso resta un meccanismo redistributivo che non modifica la struttura della proprietà. Una proposta più lungimirante è il capitale di base universale: un sistema in cui tutti i cittadini possiedono una quota dei capitali produttivi dell’economia, partecipando direttamente ai profitti generati dalle tecnologie intelligenti. Invece di ricevere trasferimenti, ogni persona diventerebbe comproprietaria dei mezzi che creano ricchezza. Questo modello, già sperimentato in varie forme, dimostra che la proprietà diffusa del capitale è possibile.
In Australia, il Superannuation Fund ha trasformato il risparmio previdenziale in una leva collettiva di investimento. In Giappone, i conti Nisa favoriscono l’accumulazione familiare di capitale; negli Stati Uniti, il programma CalKids apre conti di risparmio per i bambini a basso reddito; il Regno Unito ha sperimentato il Child Trust Fund e la Germania introdurrà dal 2026 conti di investimento per minori con contributi statali. Tutte queste esperienze convergono verso un’idea comune: trasformare i cittadini in partecipanti alla crescita, non in beneficiari passivi delle politiche pubbliche. Il capitale di base universale è una forma di “pre-distribuzione” che rende più equo l’accesso alla ricchezza fin dall’origine, costruendo società più stabili e inclusive. Se la Chiesa cattolica decidesse di abbracciare questa visione nell’aggiornamento della Rerum Novarum, offrirebbe un contributo di straordinaria forza morale al dibattito globale. Riaffermerebbe che la giustizia distributiva non è solo un principio etico, ma una condizione necessaria per la dignità umana in un mondo dove il lavoro non sarà più la misura del valore. L’autorità spirituale della Chiesa potrebbe così dare legittimazione universale al concetto di capitale di base universale, facendone un nuovo pilastro della giustizia economica nell’età dell’intelligenza artificiale.
Co-fondatore e senior advisor del Berggruen Institute (intervento in occasione del seminario della Pontificia Accademia delle Scienze sociali tenutosi il 16-17 ottobre su “Digital Rerum Novarum: Artificial Intelligence for Peace, Social Justice and integral human development”)
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