Sì al divieto di social ai ragazzi. Si faccia come col fumo

I limiti all’esposizione dei minori alla tecnologia sono un tema su cui si sta facendo qualcosa e su cui si deve accelerare adesso. Senza lasciare soli i genitori
October 11, 2025
Sì al divieto di social ai ragazzi. Si faccia come col fumo
La Danimarca ha riaperto il contenzioso educativo sui social per bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ponendo il limite di utilizzo a 15 anni. Circa un anno fa, con Alberto Pellai, abbiamo indirizzato al Governo un appello dal titolo Stop smartphone e social sotto i 14 e 16 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo per chiedere una regolamentazione in materia secondo la logica della limitazione. In questi mesi, abbiamo continuato a raccogliere firme, che attualmente sono più di 105mila, e stiamo attendendo di poterle consegnare alla Commissione per l’Infanzia e l’Adolescenza del Parlamento.
L’appello è uscito negli stessi giorni in cui, nelle librerie, si presentava il libro di Jonathan Haidt La generazione ansiosa. In 500 pagine l’autore mette nero su bianco i pericoli gravissimi che una generazione sta subendo a causa dell’esposizione al digitale e alla realtà virtuale, in aumento di anno in anno con il coinvolgimento di fasce d’età sempre più basse. Una situazione che non crea alcun vantaggio per i minori, favorendo unicamente un marketing sempre più aggressivo, finalizzato a creare nei genitori sensi di colpa per l’eventuale esclusione dei figli dai gruppi di pari portandoli ad acquisti fuorvianti.
Non si tratta di una battaglia contro la tecnologia digitale, ma della legittima consapevolezza che esiste un problema serissimo in relazione all’età. Come non si permette di guidare un’auto a un bambino di 9 o 10 anni, così occorre un ragionamento specifico e una decisione anche in ambito tecnologico. Ogni cosa a suo tempo: non è uno slogan anti-digitale, ma una pura e semplice necessità scientifica.
Nel frattempo, qualcosa è successo anche in Italia, e riguarda le scuole. Lo scorso anno, attraverso una circolare il ministro Valditara ha proibito l’uso degli smartphone fino ai 14 anni nelle scuole primarie, e nel 2025 la proibizione è estesa anche alle secondarie di secondo grado, quindi fino a 18 anni. Il divieto fa pendant con le decisioni che molte scuole, nella loro autonomia, avevano già preso, e che il Ministero ha definitivamente suggellato.
Di fatto, le istituzioni politiche e governative si sono mosse a pieno regime per tutelare il lavoro degli insegnanti duramente messo alla prova dalla distrazione causata dagli smartphone durante l’orario scolastico. Analoga decisione purtroppo non emerge a favore dei genitori, delle famiglie e dei nonni, lasciati soli a gestire l’invadenza di questi dispositivi, con picchi di utilizzo che, tra i 15 e i 17 anni, raggiungono facilmente le 7-8 ore al giorno, anche di notte. Per genitori sempre più fragili diventa così difficile predisporre regole efficaci per tenere gli smartphone fuori dall’ambiente notturno, come sarebbe auspicabile e necessario. Innumerevoli ricerche dimostrano infatti come un uso accentuato dei dispositivi, soprattutto di notte, produca inevitabili conseguenze negative sull’attenzione e sui risultati scolastici.
Le proposte di legge al riguardo languono in Parlamento e il Governo non sembra particolarmente attivo nel promuovere iniziative, se non di legge perlomeno di orientamento, che vadano a sostegno delle famiglie. Prendiamo esempio da ciò che avviene su alcol e tabacco: una normativa ne vieta l’uso a chi è minore di 18 anni. Perché non fare qualcosa di analogo anche per smartphone e social?
Nel frattempo, il campo dei negazionisti non punta più a contestare l’inequivocabile dannosità del digitale su bambini e ragazzi, ma inventa palliativi e progetti di attenuazione di quello che viene definito “abuso” di questi strumenti. La narrazione resta equivoca: davvero qualcuno è ancora in grado di pensare che esista un confine netto tra uso e abuso? E di stabilire dove si collochi questo confine? Se un ragazzino di 12 anni passa tre ore al giorno davanti a uno smartphone, come deve essere classificato? Non esiste neanche un accordo minimo per definire, appunto, cosa sia e cosa non sia “abuso”.
Occorre mettersi nei panni dei genitori che non hanno la certezza delle informazioni, delle tempistiche e dei limiti. Si vede solo un susseguirsi di progetti la cui gestione viene ancora una volta delegata ai genitori stessi, senza alcuna consapevolezza della situazione attuale, né tantomeno supporto educativo o pedagogico. Si pretende quasi che mamma e papà si trasformino in poliziotti o psicoterapeuti dei propri figli.
Servono decisioni concrete e uno sforzo di onestà: i genitori da soli non ce la fanno. Hanno bisogno che le istituzioni forniscano un supporto normativo e regolativo, che permetta loro di continuare a educare i figli e le figlie.

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