Prendere posizione costa, ma è da cristiani

Papa Leone cita la giornalista americana Dorothy Day che negli anni '30 scriveva e serviva, pensava e faceva pensare, trasformando l’indignazione in comunione e in azione
November 23, 2025
Prendere posizione costa, ma è da cristiani
Dorothy Day in visita all'abbazia di Subiaco in Arkansas / WEB Wikimedia commons
Provocata dal crollo di Wall Street nel 1929, la Grande depressione fa da sfondo a un capolavoro come “Furore” di John Steinbeck così come alle struggenti fotografie di Dorothea Lange. Ma quell’evento traumatico provocò pure - nel 1933, grazie a Dorothy Day e a Peter Maurin - la nascita di The Catholic Worker, un giornale che metteva a tema le questioni del lavoro, della povertà e dell’ingiustizia sociale con una visione cristiana chiara: «Nel cercare di far emergere il nostro amore per i fratelli, parliamo e scriviamo molto delle opere di misericordia come della forma più diretta di azione». Se ci occupiamo qui di vicende lontane nel tempo e di una figura poliedrica e affascinante come la fondatrice del Catholic Worker è perché Dorothy Day l’ha citata ieri papa Leone XIV, durante l’udienza giubilare dedicata al tema “Sperare è prendere posizione”. Già il titolo della catechesi di papa Prevost potrebbe suonare strano. Sperare non è forse, per qualcuno, abbandonarsi al destino, con l’auspicio che (vedi i primi tempi del Covid) «andrà tutto bene»? Sperare non è attendere che le cose si sistemino magicamente da sole? Aspettare, a braccia conserte, le condizioni opportune per cambiare la situazione del mondo? No, risponde il Papa: «Gesù ci toglie la pace, se pensiamo la pace come una calma inerte». E ancora: «A volte vorremmo essere “lasciati in pace”: che nessuno ci disturbi, che gli altri non esistano più». Diciamocelo: quella di “mettere in pausa” il mondo è una tentazione trasversale, che serpeggia fra credenti e non. Specie in tempi difficili come gli attuali, nei quali occuparsi degli altri significa seguire la Cop30, la conferenza mondiale sul clima che si è chiusa da poco in Brasile, oppure tenere accese le luci su Gaza (e la Cisgiordania), sull’Ucraina e decine di altri conflitti («Per noi cristiani ogni guerra è fratricida», ha ripetuto pochi giorni fa il cardinale Matteo Zuppi). Di recente Michele Serra ha scritto nella sua Newsletter “Ok boomer”: «Mi capita spesso di invidiare chi sa poco del mondo, è poco informato. L’ignaro campa tranquillo in una porzione molto limitata: la sua. Sa poco, e tanto meglio per lui, che di tutto il resto non conosce il peso».
È precisamente per non sobbarcarsi questo peso che molte persone negli ultimi anni stanno letteralmente evitando le notizie (lo documentano studi autorevoli, come quello del Reuters Institute for the study journalism): troppa negatività, troppo stress. Privandosi dell’informazione, rinunciando a comprare un giornale, tanti cercano di sottrarsi al sentimento di rabbia e impotenza che spesso pervade molti di coloro che navigano in rete, guardano i Tg, leggono i quotidiani, ascoltano i notiziari… Ma «la pace che Gesù porta è come un fuoco. Ci chiede, soprattutto, di prendere posizione», incalza Leone XIV. Inerzia, tiepidezza e passività - fa capire il Papa - non possono far parte del vocabolario di chi si dice cattolico. E nemmeno, par di capire, il cerchiobottismo del credente che non si schiera a fianco dei vulnerabili, che non si prende a cuore i diritti di tutti, preferendo più redditizie posizioni “equilibrate”. La «piccola grande donna americana» Dorothy Day - sottolinea il pontefice venuto dagli States - rappresenta un modello anche per l’oggi: lei è stata, infatti, una che si faceva gli affari degli altri. Una pacifista scomoda, capace di alzare la voce e di andare controcorrente. «Ha visto che il modello di sviluppo del suo Paese non creava per tutti le stesse opportunità, ha capito che il sogno per troppi era un incubo». Già: l’American Dream, ieri come oggi, è un mito che costa troppo (non di rado la vita) a troppi migranti. «Scriveva e serviva. Pensava e faceva pensare», sottolinea papa Leone XIV. «E poi Dorothy serviva i pasti, dava i vestiti, si vestiva e mangiava come quelli che serviva: univa mente, cuore e mani». Così facendo «ha coinvolto migliaia di persone». Il segreto? «Day ha saputo trasformare l’indignazione in comunione e in azione». E qui ai giornalisti fischiano le orecchie: quante volte il nostro smascherare scandali o denunciare disservizi è alimentato dal desiderio di servire il bene comune? E quante, al contrario, dalla voglia di mettere in cattiva luce qualcuno o colpire un avversario? Imparare a trasformare l’indignazione in comunione e in azione (come fa il giornalismo costruttivo): questo sì sarebbe un bel “fioretto giubilare”, per chi ha la responsabilità di informare.

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