Numeri, risorse e competenze in calo. Ma la speranza si impara (ancora) in classe

La scuola offre un quadro per molti aspetti desolante. Eppure rimane la più grande opportunità di investimento sul futuro dei giovani
October 11, 2025
Numeri, risorse e competenze in calo. Ma la speranza si impara (ancora) in classe
Fine delle lezioni. Alunni corrono nel corridoio della scuola.Compagni di classe in corsa verso l' uscita.
L’anno scolastico è iniziato ormai da un mese. Dopo il frastuono mediatico che abitualmente accompagna il suo avvio – il caro-libri, il calendario, i nuovi e spesso controversi provvedimenti del Ministero, la carenza di docenti – la scuola torna lentamente nell’oblio. Fino a riemergere, di tanto in tanto, attraverso fatti di cronaca che coinvolgono studenti o insegnanti e che diventano virali sui social, sbandierati come “prove” dello stato di degrado della scuola italiana. Oltre la cortina delle semplificazioni mediatiche resta l’esperienza quotidiana di milioni di ragazzi e ragazze che ogni mattina entrano in classe con i loro sogni, le loro fragilità, le loro domande. Ed è lì, dentro queste aule, che può nascere o spegnersi in ciascuno di loro la speranza non solo di apprendere nuove nozioni, contenuti e competenze, ma anche di costruire relazioni, imparare a stare bene con sé e con gli altri, conoscere pezzi di mondo, aprire nuove prospettive. Non è facile parlare di speranza guardando alcuni dati della scuola italiana, a partire dal calo costante della popolazione scolastica dovuto alla denatalità. Anche dai rapporti dell’Invalsi non arrivano segnali rassicuranti: i livelli di competenze di base riscontrati nelle prove nazionali della scuola secondaria non hanno ancora recuperato i livelli pre-pandemia, con risultati in Italiano, Matematica e Lingua straniera inferiori a quelli del 2019. Permangono differenze territoriali tra le aree del Mezzogiorno e del Centro-Nord e tra le aree interne e le aree urbane. Anche l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Giovani conferma quanto il contesto familiare continui a pesare sul destino formativo: tra i giovani con almeno un genitore diplomato, solo il 5,1% ha abbandonato precocemente gli studi mentre tra coloro che provengono da famiglie con genitori senza diplomi o qualifiche la percentuale è del 25%. Alle barriere culturali si sommano le difficoltà legate al contesto socioeconomico. È nel contrastare con decisione questi squilibri con investimenti e misure straordinarie che si gioca una parte importante della sfida educativa del Paese. Eppure, anche dove il terreno appare più fragile, si possono intravedere segni di speranza: iniziative di scuole aperte nel pomeriggio, doposcuola che diventano presìdi sociali, realtà del territorio che sperimentano nuove forme di collaborazione attraverso i patti educativi di comunità. Sono germogli che mostrano come la scuola possa diventare motore di riscatto, se sostenuta da politiche lungimiranti e da una rete sociale solidale.
Ma nel complesso le risposte evidenziano che secondo i giovani la scuola non sta facendo ancora abbastanza. A chiedere maggiori strumenti sono soprattutto coloro che nella scuola secondaria hanno acquisito maggiori competenze: l’83,6% di chi ha competenze medio-alte chiede borse di studio per gli studenti indigenti, contro il 53,5% di chi ha competenze medio-basse. Il 90,1% dei più preparati vede come prioritari spazi dedicati alla salute mentale a fronte del 63,7% di chi ha competenze medio-basse. Un paradosso che dice molto: chi ha raggiunto minori risultati crede meno nella possibilità che la scuola possa cambiare e garantire a tutti maggiori opportunità di istruzione. Come restituire senso e fiducia nella scuola tra coloro che l’hanno perso? Come nutrire un’esperienza che non si riduca ad una corsa a ostacoli individuale, ma che sia un percorso vissuto in una comunità di apprendimento capace di valorizzare ogni cammino, compreso quello di chi rischia di rimanere indietro? Accanto alle criticità, ci sono segnali positivi che non vanno trascurati. L’abbandono precoce degli studi è in calo costante da anni. La scuola dimostra dunque una maggiore capacità di inclusione rispetto al passato, assumendo maggiormente l’onere di accompagnare una platea di studenti più eterogenea e complessa. Cresce la presenza di giovani donne nei percorsi scientifici, con una parziale riduzione della separazione tra percorsi tipicamente maschili e femminili. Aumenta la partecipazione degli studenti con background migratorio all’istruzione secondaria e all’università e con essi il contributo della scuola a costruire percorsi di convivenza in una società multiculturale. La maggioranza dei giovani continua ad attribuire un valore positivo all’esperienza della scuola e al rapporto con compagni e insegnanti, chiedendo al tempo stesso maggiore equità, inclusione e apertura. La domanda di partecipazione resta spesso inascoltata, ma è forte: molti ragazzi e ragazze desiderano essere protagonisti delle decisioni che riguardano la loro vita scolastica: vorrebbero poter scegliere parte delle materie da approfondire, fare più attività laboratoriali, partecipare a progetti e iniziative riguardanti le sfide del nostro tempo (si pensi agli obiettivi dell’agenda Onu 2030).
Partecipare attivamente alla scuola significa già prendere parte al futuro, ed è proprio in questa capacità di attivarsi che si riconosce un’educazione concreta alla cittadinanza. La recente rilevanza attribuita all’educazione civica nella scuola rappresenta in questo senso una opportunità positiva, se non viene ridotta alla mera trasmissione di regole di buon comportamento civico, ma è declinata in un effettivo processo di apertura democratica di spazi coinvolgimento, di confronto e partecipazione dei ragazzi. La speranza nella scuola passa anche e soprattutto dalla bellezza dei saperi, dal gusto di apprendere cose nuove, dalla possibilità di allargare lo sguardo oltre l’immediato, di acquisire maggiore consapevolezza critica. Pur con tutte le limitazioni, la scuola resta dunque la più grande opportunità di investimento nel loro futuro che i giovani hanno a disposizione: un luogo dove ciascuno è chiamato a crescere in conoscenza, umanità e fraternità. Sono loro stessi a ricordarlo nelle indagini del Rapporto Giovani, quando affermano di voler partecipare, di desiderare una scuola più giusta e inclusiva, di immaginarla come comunità in cui ci sia posto per tutti. Altri hanno smesso di credere nella scuola e vanno raggiunti con percorsi sperimentali e audaci, che restituiscano loro fiducia nel futuro. Parlare di speranza nella scuola significa allora riconoscerne la dimensione generativa. Non è solo una questione di addestramento individuale, ma di un futuro condiviso da prefigurare. Ogni giovane che trova nella scuola un luogo di crescita porta con sé una promessa di rinnovamento per l’intera società. Perché la speranza prenda corpo, perché andare a scuola abbia il sapore del futuro e non di un rituale stantìo è necessario, come suggerito dall’appello del Papa nella bolla di indizione del Giubileo, “prendersi cura con rinnovata passione dei ragazzi, degli studenti” da parte degli adulti di riferimento - insegnanti, ma anche personale ausiliario, educatori e dirigenti - nel sostenere il loro entusiasmo costruendo spazi di dialogo e confronto tra i banchi, nelle relazioni, nello studio, nella fatica quotidiana che diventa occasione di scoperta e di crescita condivisa, giorno dopo giorno.
Ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del comitato scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo

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