Né buonismo, né razzismo: facciamo i conti con la realtà

Il “fare finta di nulla” non è rispetto delle differenze. Discriminare è non tutelare quei bambini rom come se fossero nostri. È accettare per loro ciò che non accetteremmo per i nostri figli
August 13, 2025
Né buonismo, né razzismo: facciamo i conti con la realtà
Fotogramma | Il campo rom di Via Selvanesco a Milano
Iniziamo da una cosa che dovrebbe essere scontata ma che vale la pena ripetere: ogni vita umana ha lo stesso valore. Non esistono persone di serie A e di serie B. Questo è il punto di partenza, non negoziabile. La dottrina sociale della Chiesa è chiara: la persona umana è sempre degna, indipendentemente da chi sia, da cosa faccia, dal contesto in cui viva. E proprio perché la persona è sempre degna, è nostro dovere intervenire quando la sua dignità viene calpestata. Anche – e forse soprattutto – quando si tratta di bambini rom che vivono in condizioni di sfruttamento e privazione. Il buonismo che lascia correre tutto e il “fare finta di nulla” non è rispetto delle differenze culturali: è il contrario dell’uguaglianza. Razzismo è non tutelare quei bambini come se fossero nostri. Razzismo è usare due pesi e due misure, accettando per loro ciò che non accetteremmo per i nostri figli. Razzismo è rassegnarsi all’idea che possano non andare a scuola, restando condannati a un futuro già scritto.
Detto questo, credo sia arrivato il momento di affrontare la questione rom con serietà e senza pregiudizi.
Perché nelle ultime ore stiamo assistendo al solito spettacolo all’italiana: da una parte gli sceriffi che vorrebbero radere al suolo tutti i campi, dall’altra i buonisti che al primo accenno di critica gridano al razzismo. Non si tratta di razzismo. Si tratta di guardare in faccia la realtà e chiedersi se davvero vogliamo accettare che nel nostro Paese la legge non sia uguale per tutti.
Quando ero assessore al Comune di Roma, ho toccato con mano questa contraddizione. Ho visto famiglie italiane che si ammazzavano di lavoro per tirare avanti, che magari vivevano in case piccole o avevano qualche difficoltà economica, e boom: servizi sociali, segnalazioni, rischio di perdere i figli. Zero tolleranza.
Dall’altra parte ho visto – e continuo a vedere – bambini rom usati per rubare, per chiedere l’elemosina, neonati trascinati sotto il sole cocente per impietosire i passanti. E lì? Lì casualmente tutti guardano dall’altra parte. Ah, “è la loro cultura”, “bisogna rispettare le tradizioni”. Non mi rassegno a una cultura che sfrutta i bambini o le donne incinte.
Il tragico episodio di Milano ci ha scossi tutti. Una donna che stava semplicemente attraversando la strada, una vita normale interrotta per sempre dall’impatto con un’auto guidata da quattro bambini di 11-13 anni. Quella signora aveva una famiglia, aveva sogni, progetti, persone che la aspettavano a casa. La sua morte rappresenta il fallimento di un intero sistema. È una tragedia che ci riguarda tutti. È come se ci fossimo rassegnati a considerare certe situazioni come “immodificabili”. Ma questo non è giusto, né per le vittime innocenti né per quei bambini che meritano un futuro diverso.
Bisogna avere il coraggio di dire che molte delle realtà del terzo settore che oggi gestiscono i campi rom non stanno ottenendo i risultati sperati. Non è un attacco a chi ci lavora con dedizione, ma un invito a ripensare l’approccio. Serve un percorso serio perché le risorse che vengono messe in campo non sono poche. Vorrei che la legge fosse uguale per tutti: se sfrutto mio figlio, mi devono togliere la patria potestà, che io sia rom, italiano, marziano o quello che volete. Possiamo provare, almeno una volta, a discutere di questo tema senza schierarci su fronti opposti?
Perché ogni volta che non interveniamo, ogni volta che chiudiamo gli occhi, rischiamo che si ripeta una tragedia come quella di Milano. Non è questione di destra o sinistra, non è questione di essere più o meno accoglienti. È questione di civiltà e di carità autentica: amore per chi non c’è più e amore per chi può ancora essere salvato. Un amore che sa essere fermo e duro quando necessario, ma che non smette mai di credere che le cose possano cambiare.
Le soluzioni esistono, serve solo la volontà di metterle in pratica. Possiamo ancora fare qualcosa perché la morte di Cecilia De Astis non sia stata vana.

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