Losanna città simbolo del cammino, tra pellegrinaggi e Olimpiadi

Il nostro percorso lungo il tratto transalpino della Via Francigena si conclude nella località elvetica teatro di episodi miracolosi, e sede scelta da de Coubertin per il Movimento olimpico
October 11, 2025
Losanna città simbolo del cammino, tra pellegrinaggi e Olimpiadi
I vigneti di Lavaux, con vista sul Lemano, che guarda al Gran San Bernardo e all'Italia
In quale altra città si ammirano dentro un museo, in bianco e nero, i piedi di una ginnasta sospesi armoniosamente su una trave? E dov’è altrettanto onorato il bello regalato dall’arte di angelici vagabondi rimasti ai margini? Altrove, poi, è forse concepibile visitare un’antica cattedrale per contemplarvi pure un organo che sembrerebbe schierato sulla griglia di un autodromo? Su e giù fra le pendenze di Losanna, le domande corrono, saltano, si lanciano nelle braccia delle altre.  Il nostro viaggio lungo la Via Francigena settentrionale era partito dalla Manica, uno specchio d’acqua magico all’alba come il gran ritorno a marzo del sole sulle Svalbard. Ma divenuto oggi pure un simbolo dei sogni lacerati di chi reclama dignità sulla Terra. E una volta ai piedi della più maestosa muraglia continentale, si apre un’altra distesa blu, il Lago Lemano, che toglie il fiato. Un mare-carillon. «Nel Medioevo, Losanna acquisì grande fama religiosa come città mariana teatro di numerosi miracoli. Anche per questo, come in un fiocco, si intersecano qui da secoli tanti cammini di pellegrinaggio europei provenienti dal Nord, a cominciare da quelli verso Roma e il Santo Sepolcro», ci racconta Katia, guida della città, nonché responsabile diocesana per la pastorale turistica: «In questa lunga scia, sappiamo che occorrerebbero più alloggi abbordabili per i pellegrini odierni, non solo quelli sulla Francigena. Oggi, mentre si osserva in città pure un aumento dei battesimi, significherebbe onorare un’antica vocazione di Losanna».
Entriamo nella Cattedrale non più cattolica, l’edificio gotico svizzero più visitato in assoluto, entrata nel vivo dei festeggiamenti per i 750 anni dalla consacrazione. E Katia ci invita pure ad ammirare l’organo splendente: «Non lo trova un po’ italiano? Normale, dato che la struttura è stata immaginata da Giorgetto Giugiaro, il famoso designer di auto. Ma per l’organo, si è ispirato alle ali degli angeli», ci dice radiosa. A prima vista, sembrerebbe solo una deliziosa curiosità. Ma presto realizziamo che forse c’è molto più. Quasi un piccolo suggello delle trasformazioni di Losanna nel tempo, all’insegna nondimeno di una coerenza di fondo. Lungo il Novecento dei fragori bellici, un certo Pierre de Coubertin pensò di fare del gioiello urbano elvetico posato su tre colli e già caro all’Europa in marcia, la sede del movimento olimpico mondiale. Così, l’ideale dei cinque cerchi sposò la neutralità politica della Svizzera, attirando via via a Losanna le sedi delle varie federazioni sportive. Impossibile giungere in città senza visitare, o rivisitare, proprio il Museo Olimpico, di continuo cangiante, anche per riflettere ogni nuova edizione dei Giochi. «Vogliamo dare ancor più corpo e cuore all’identità di Losanna come capitale olimpica. Abbiamo progetti concreti per radicarci in profondità», ci spiega Yasmin Meichtry, alla guida della fondazione che gestisce il celebre Museo, parlandoci presto di un evento speciale vissuto dalla città: «Da oltre 40 anni, ad ottobre, accogliamo migliaia di giovanissimi per la nostra Settimana olimpica. Possono praticare liberamente nuovi sport, non per forza olimpici. Hanno oggi fra 6 e 15 anni e il loro arrivo permette di coltivare relazioni con numerose famiglie non solo di Losanna. Si tratta di una tradizione in grado d’ispirare un po’ pure i nostri programmi di educazione allo sport e ai valori olimpici che cerchiamo di diffondere in tanti Paesi, come l’India o il Senegal».
Ci colpisce molto la felice coincidenza fra la tappa o meta dei pellegrini di ogni secolo e l’odierna culla dei valori olimpici. In proposito, fin dall’ingresso del percorso espositivo, il Museo ricorda come fra i grandi fondatori dell’olimpismo moderno, ci fu in particolare un grande amico di De Coubertin: il sacerdote domenicano francese Henri Didon. Il quale soleva organizzare animatissime competizioni studentesche in un istituto cattolico appena a sud di Parigi. «Camminare non è uno sport olimpico. Ma se il dossier verrà accettato dal Consiglio d’Europa, Losanna rientrerà presto in un nuovo itinerario culturale continentale dedicato allo sport», prosegue la dirigente olimpica. Per un’altra coincidenza propizia che riecheggia un po’ la Francigena, l’elvetica Losanna si trova sull’asse fra Parigi e Milano, proprio le ultime due città olimpiche a passarsi il testimone, in vista degli imminenti Giochi invernali italiani. E in virtù di questo, il Museo Olimpico brilla più che mai dei colori nostrani: «In vista di Milano Cortina, abbiamo previsto dal 18 settembre un percorso intitolato "Via Azzurra", focalizzato sui grandi momenti dell’Italia nella storia dei Giochi e degli atleti italiani». E visitando il Museo dopo tanto camminare, il nostro sguardo viene calamitato dalle "calzature" di 2 campioni entrati nella leggenda: le scarpe della memorabile impresa di Pietro Mennea ai Giochi di Mosca 1980, con quell’accelerazione mozzafiato nei 200 metri che fece impazzire gli sportivi non solo italiani; ma pure gli scarponi da sci di fondo con cui Manuela Di Centa, a Lillehammer 1994, fece strage di medaglie, con due ori, due argenti e un bronzo, troneggiando da allora negli annali.
«A Losanna, la voglia di camminare non finisce mai. Tanto che gli abitanti sono noti pure per questo in Svizzera», ci dice scherzando Olivia, guidandoci fra gli scenografici declivi a vigneti di Lavaux, anch’essi costeggiati dalla Francigena. Un paesaggio tanto armonioso e saturo di storia da essere entrato nel Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’Unesco.  Fra i luoghi più toccanti che visitiamo, spicca pure un museo unico nel suo genere: la coloratissima Collection de l’art brut, dedicata interamente al genio dei disegnatori e altri creatori vissuti ai margini della società. Uno di quei posti che allargano gli orizzonti e spingono chiunque a riflettere. Ci colpiscono, in particolare, le grandi sculture in bassorilievo del polacco Stanislaw Zagajewski (1927-2008), abbandonato dalla madre a 2 anni davanti a una chiesa di Varsavia, prima di una prolungata erranza fra un orfanotrofio e l’altro. Credente fervente, riuscì a trasformare con perseveranza l’abilità come muratore nella base per una parabola creativa luminosa di scultore autodidatta, battendosi pure contro i pregiudizi che gli procurava l’andatura zoppicante. I suoi "altari", come li chiamava, sono proprio d’ispirazione religiosa. A proposito di gente caparbia, ai nostri giorni, viene invece dalla comunità dei nuotatori locali il 28enne Noam Yarom, che ha deciso di lasciare le competizioni per iniziare una carriera sui generis di "traversatore" a nuoto di laghi e mari, allo scopo di sensibilizzare sull’inquinamento delle distese acquatiche. Proprio il Lemano, la sua prima "piscina" gigante. Certe città, si dice, recano un messaggio o una musica. Ma presto, a Losanna, la sensazione è quella di un’intera sinfonia uscita dallo "sprintoso" organo di Giugiaro. A farvi caso, la capitale olimpica è praticamente equidistante da Canterbury e Roma: proprio in mezzo alla Francigena. Così, dato che il nostro viaggio era cominciato non lontano da Amettes, cittadina cara ai vagabondi della Terra, sulle orme di san Benoît-Joseph Labre, un’ultima sosta ci attira irresistibilmente, prima di puntare verso il glorioso Gran San Bernardo: la casa-museo, sul Lemano, in cui finì idillicamente i suoi giorni un inglese nato nella miseria, prima d’imporsi come il più brillante "vagabondo" nella storia del cinema. Da solo, vien da credere, un’olimpiade completa di speranza. Sì, proprio The Tramp (con la "a"). Pensando alla distesa blu simile a un occhio ben aperto che scruta il cielo, Charlie Chaplin, l’ex londinese povero divenuto una stella, scrisse: «In mezzo a una tale felicità, mi siedo talvolta sulla nostra terrazza al tramonto e contemplo la vasta distesa di prato verde e il lago in lontananza, e al di là, la presenza rassicurante delle montagne, e resto così senza pensare a nulla, ad assaporare la loro magnifica serenità».
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