Congelare il fronte Est: l'Europa ora ha un'occasione

Trump sembra troppo sintonizzato sulla sua strategia dell’imprevedibilità per vedere la trama cinica di Putin. La Ue, il più solido sostegno a Kiev e al suo popolo, può prendere in mano gli sforzi per una trattativa
October 23, 2025
Volodymyr Zelensky
Volodymyr Zelensky
Un Paese aggressore capisce che nuove armi in grado di mutare gli equilibri del conflitto che ha scatenato stanno arrivando al Paese invaso, da parte del suo più potente alleato. Il leader del Paese aggressore telefona allora al leader di quel Paese e cerca di blandirlo con promesse di colloqui e di intese. Il leader del Paese alleato crede alle promesse, annulla la spedizione di sistemi bellici strategici e annuncia un vertice di pace. Poco dopo il leader del Paese aggressore mette altre condizioni e rifiuta il cessate il fuoco, mentre continua a bombardare le città e le infrastrutture civili del Paese aggredito. Sembra una storia abbastanza lineare che, essendosi ripetuta nell’arco di pochi mesi, poteva essere compresa per evitare la trappola. Il presidente americano Donald Trump, tuttavia, è probabilmente troppo sintonizzato sulla sua strategia dell’imprevedibilità e dello sparigliamento delle carte per vedere la trama tanto semplice quanto cinica messa in atto da Vladimir Putin.
Il capo della Casa Bianca ha ormai rinunciato al suo proclama elettorale di una soluzione in poche ore alla crisi ucraina. Oggi alterna minacce e concessioni provando a interpretare il ruolo di negoziatore aggressivo e spiazzante. Annuncia sanzioni contro l’energia russa (solo quelle indirette all’India sono state varate) e l’invio di vettori a lungo raggio all’Ucraina, poi ammette che una simile mossa potrebbe scuotere l’economia mondiale e incendiare il conflitto. Ha rimproverato in pubblico Zelensky, bloccato temporaneamente le forniture militari e la condivisione d’intelligence, salvo tornare sui suoi passi dopo le pressioni degli alleati europei.
Nell’estate scorsa, mentre il Congresso discuteva un nuovo pacchetto di sanzioni, Putin accettò un vertice in Alaska: il progetto venne subito congelato. Pochi giorni fa, di fronte alla prospettiva che Washington invii a Kiev i missili Tomahawk (temuti da Mosca) e i sistemi Patriot, il capo del Cremlino ha telefonato a Trump. Ne è nata l’idea di un vertice a Budapest, tramontato in meno di una settimana, durante la quale l’inquilino della Casa Bianca ha provato a spingere il presidente Volodymyr Zelensky verso la cessione dell’intero Donbass, compresa la porzione che la Russia non è ancora riuscita a occupare. Sono le condizioni russe per un cessate il fuoco, segno che si vuole una vittoria totale e non c’è volontà di accettare qualunque compromesso. Probabilmente, il tycoon aspira davvero a fermare la guerra, anche per mettersi al petto un’altra medaglia di geniale pacificatore. E tutti dovrebbero sostenere questo sforzo, quale che siano le motivazioni che lo animano. La tragedia nel cuore dell’Europa, che ogni giorno spezza vite (su entrambi i fronti), crea nuovi profughi, distrugge città, mette al freddo e alla fame una nazione cancellandone anche la storia, deve finire. Con un’intesa giusta e duratura, come non si stanca di ribadire papa Leone, insieme a tutte le persone di buona volontà. Come uscire allora da un conflitto che si avvia ai quattro anni di ininterrotti combattimenti?
L’Europa, ormai il più solido e affidabile sostegno al popolo ucraino e alla sua resistenza, ha l’occasione di prendere in mano gli sforzi per una trattativa e sfruttare il logoramento che anche la Russia comincia a sperimentare. Ci vogliono però unità e determinazione. Pensiamo a ciò che è avvenuto a Gaza, pur con le mille incognite che gravano sulla tregua in corso. Il piano Trump che sta avendo un apparente successo ha trovato terreno favorevole grazie al lavoro diplomatico che la Francia e l’Ue hanno condotto nei mesi precedenti, e in particolare per il modo in cui hanno ricucito e rafforzato i rapporti con Egitto, Giordania e Arabia Saudita, al fine di creare una base su cui poi si è innestato l’intervento statunitense. Già in maggio si era tenuta una riunione trilaterale fra Arabia Saudita, Egitto e Giordania, co-presieduta da Francia e Arabia Saudita. Successivamente, l’“Iniziativa di New York”, il 12 settembre, lanciata da Macron insieme al ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan, ha rappresentato il primo documento dettagliato che combinava cessate il fuoco, liberazione degli ostaggi, garanzie di sicurezza per Israele, riapertura dei corridoi umanitari e un piano di ricostruzione multilaterale per Gaza. Un’azione ampiamente misconosciuta e poco pubblicizzata rispetto ai riflettori puntati sul mattatore Trump.
Oggi, per l’Ucraina, l’Unione Europea insieme con la Gran Bretagna e altri Paesi deve ripetere quel percorso, assumendosi però anche il compito finale di forzare la Russia a un accordo, non “perfetto”, ma che possa convenire a tutte le parti senza abdicare ai principi di giustizia e del diritto internazionale. Fermare le ostilità tenendo la linea attuale del fronte come un confine provvisorio è una soluzione che ora anche Zelensky ritiene praticabile. Tutte le zone occupate resterebbero sotto il controllo e l’amministrazione di Mosca, senza riconoscimento ufficiale. Seguirebbero la formazione di un gruppo di mediazione, garanzie di sicurezza per Kiev con ingresso nella Ue (ma non nella Nato) e revoca progressiva delle sanzioni alla Russia.
Perché Putin dovrebbe rassegnarsi a questo esito per lui non glorioso? Perché un livello più alto di pressione economica, isolamento politico e solidità militare ucraina non gli consentirebbe di proseguire a lungo il conflitto. Vanno in questa direzione l’annunciato stop totale dell’Europa all’acquisto di gas russo e l’uso dei beni immobilizzati di Mosca. Serve ancora altro, in coordinamento fondamentale con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda la coesione, è difficile immaginare questo scenario se uno Stato europeo continuerà a dirsi pronto a consentire il transito o l’arrivo sul proprio territorio di un ricercato per crimini di guerra, come hanno fatto Bulgaria e Ungheria nella prospettiva di un summit con lo zar del Cremlino. Vedremo che cosa uscirà dal Consiglio europeo di oggi. Per adesso, la strada verso la pace non può essere che quella di un caldo abbraccio all’Ucraina e di una ferrea stretta a Putin e alla sua nomenklatura.

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