Liberato dalla prigionia del male grazie alla catechesi per i detenuti

La perdita di un figlio in arrivo, la crisi della fede, la separazione, fino a una condanna per stalking. In carcere la partecipazione al progetto “Viaggio del prigioniero”, un cammino di rinascita
September 30, 2025
Liberato dalla prigionia del male grazie alla catechesi per i detenuti
Illustrazione a cura di Jeugov
«Quando il corpo di una donna viene considerato un oggetto di cui puoi disporre a tuo piacimento, la strada che porta alla violenza sessuale non è così lontana come potrebbe sembrare. Una violenza che può limitarsi alla dimensione psicologica, alle minacce, come nel mio caso, ma che è comunque un modo con cui l’uomo si erge a padrone e la donna diventa vittima. Ho fatto del male, ma ora che ho imparato la lezione voglio metterla a disposizione dei giovani, prima che per qualcuno di loro sia troppo tardi». Incontro Stefano nella sezione Protetti della Casa circondariale di Pesaro, dove sta scontando una condanna per violenza sessuale e stalkeraggio. Il tono della voce è pacato, come di qualcuno che ha guardato in faccia i suoi errori, li ha metabolizzati e ha deciso di imboccare strade diverse, ma quando racconta alcune tappe della sua odissea non riesce a trattenere le lacrime. Ha lavorato come camionista per 31 anni, oggi ne ha 51. Sposato, ha una figlia e una ferita nel cuore che ha segnato indelebilmente la sua esistenza: quando la seconda gravidanza della moglie era arrivata all’ottavo mese, il cuore del bimbo ha smesso improvvisamente di battere. « Un dolore indicibile che mi ha annichilito, mi ha riempito di rabbia, e di cui ho dato la colpa a Dio: come aveva potuto permettere una morte così tragica e ingiusta? Ho dato un calcio alla fede, e da quel giorno la vita è precipitata in un baratro». In seguito, complice anche il lavoro che lo teneva per lunghi periodi lontano da casa, i rapporti con la moglie si incrinano, arrivano incomprensioni, litigi, la separazione, poi l’incontro con un’altra donna che diventa la sua compagna e gli episodi che l’hanno portato in prigione. È lì, proprio nel luogo più buio, che accade qualcosa di imprevisto.
«Quando sono entrato ero atterrito, il carcere è un luogo anonimo e spaesante, non avevo nessuno di cui potessi fidarmi. È accaduto un episodio strano: un giorno il mio compagno di stanza, marocchino e musulmano, mi ha proposto di partecipare alla catechesi gestita da alcuni volontari cattolici: “Io non ci vado - mi disse - ma mi hanno raccontato che può fare bene al cuore delle persone, perché non provi?”. E così, dopo tanti anni trascorsi maledicendo Dio, mi sono ritrovato nella chiesa del carcere ad ascoltare le preghiere di altri detenuti e il racconto delle loro vite. Quando una catechista è intervenuta dicendo di avere perso il figlio che portava in grembo al quarto mese di gravidanza, mi è sembrato che il Signore fosse venuto a bussare alla porta del mio cuore. Per la prima volta dopo 14 anni ho deciso di confidarmi e di raccontare tutto quello che mi era capitato. Quel giorno è iniziato il mio viaggio, il viaggio del prigioniero». Si chiama così il progetto messo in campo dall’associazione Prison Fellowship Italia in 31 carceri e al quale in questi anni hanno partecipato 3.000 detenuti. È un itinerario di riflessione interiore e di amicizia durante il quale i volontari presentano Gesù come «compagno di cella», una persona che ha condiviso e preso sulle spalle la sofferenza di tutti gli uomini e grazie al quale è possibile incontrare una luce di speranza anche nelle situazioni più oscure, e vivere la detenzione come un’occasione di riscatto. È quello che è accaduto a Stefano, che in questi anni con l’aiuto dei volontari di Prison – « niente prediche, solo testimonianze di vite cambiate, sono state quelle la vera medicina» – ha deciso di mettersi in gioco, ha aperto la porta del cuore e ha riavvolto il nastro della sua esistenza. Fino a riconoscere come sbagliati e violenti gesti, comportamenti e parole nei confronti della compagna che lui giudicava « normali», fino a capire quanto fosse istintivo il suo modo di concepire e vivere l’affettività e il sesso. È una consapevolezza acquisita dopo un faticoso lavoro su di sé, che ha messo a disposizione degli studenti delle scuole superiori in occasione di alcuni incontri ospitati nell’auditorium del carcere di Pesaro, durante i quali ha raccontato il suo percorso, gli errori commessi, la volontà di riscatto, il desiderio di mettere in guardia i giovani da una banalizzazione del sesso, da una concezione mercificata del corpo e dell’amore. « In carcere si curano le ferite, ma per prevenire certi comportamenti l’arma decisiva è l’educazione, per questo la scuola può essere una palestra decisiva». Oggi, guardando al suo passato, si rende conto di avere cancellato per lungo tempo Dio dall’orizzonte dell’esistenza, ma anche di averlo ritrovato proprio quando meno se l’aspettava.
«Dopo la morte del mio bambino ho spento la luce, mi sono chiuso in un dolore cieco. E tutto quello che è capitato dopo – la separazione dalla moglie, i comportamenti sbagliati nei confronti della mia compagna – è stato il frutto di un’esistenza buttata via, della presunzione di essere il padrone della vita mia e di quella degli altri. Ho vissuto nella dimenticanza di Dio, ma Dio non si è dimenticato di me. Ed è venuto a cercarmi proprio nel momento più buio. Per questo non ho pudore nel dire che la carcerazione è stata in fondo una grazia: qui ho incontrato psicologi e operatori con i quali ho potuto esaminare con lucidità il passato e fare i conti con i gravi errori compiuti. Partecipando al “ Viaggio del prigioniero” ho incontrato un’esperienza che mi ha accompagnato verso l’uscita dalla prigionia del male, e l’amicizia con i volontari di Prison Fellowship è diventata l’occasione per guardare con occhi nuovi alla vita e per intraprendere la strada del cambiamento. Una strada che mi ha permesso anche di ritrovare un rapporto sereno con la mia ex moglie e con mia figlia, che vengono regolarmente a trovarmi in carcere. Dopo anni trascorsi a maledire Dio, ora non posso addormentarmi la sera senza pregare». Maria Teresa è una delle volontarie di Prison Fellowship che ha accompagnato Stefano e altri detenuti durante il Viaggio del prigioniero. Anche a lei è accaduto qualcosa di sorprendente, anche per lei il carcere è diventato il luogo che ha cambiato la vita: «Sul mondo carcerario nutrivo pregiudizi molto forti, analoghi a quelli di tanti italiani. Consideravo i detenuti come mostri che meritavano di marcire in cella per il male commesso. Fino al momento in cui un amico mi ha proposto di partecipare a un’esperienza di catechesi nel carcere di Pesaro. Il primo giorno mi sono trovata davanti il figlio di una mia cara amica, rimasi spiazzata, chi l’avrebbe mai immaginato? Eppure era tutto vero: il suo male, i suoi errori, la domanda di essere perdonato, il desiderio di cambiare. Dopo quell’episodio i pregiudizi sono rimasti fuori dalla porta e quando ho conosciuto il progetto del Viaggio del prigioniero ho dato la mia disponibilità: vedere come la grazia di Dio opera nei cuori è qualcosa che cambia anzitutto il mio cuore, e mi induce a stare di fronte alle persone sapendo che c’è per tutti una possibilità di cambiare». Oggi Maria Teresa, che ha anche frequentato un corso di counseling, accompagna le persone detenute nei loro percorsi di ripartenza umana. Ha imparato anche lei che l’uomo non è il suo errore, e che la vita può cambiare anche quando sembra impossibile.
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