La rivoluzione americana sta cadendo nella spirale della reazione?

Sulla scia dell’orrore suscitato dall’assassinio di Kirk, per iniziativa di alcune aziende e dello stesso presidente Trump, negli Usa nascono liste di proscrizione e si licenziano persone
September 19, 2025
La rivoluzione americana sta cadendo nella spirale della reazione?
ANSA | Un cartellone esposto nel contesto delle proteste conto la sospensione del programma tv della rete ABC, "Jimmy Kimmel Live!"
Un atto sconsiderato e criminale come l’uccisione di Charlie Kirk a Orem, Utah, Stati Uniti d’America, ha riacceso il dibattito sul tema della libertà di parola. Non soltanto in quella a cui intere generazioni, al di là e al di qua dell’Atlantico, hanno guardato come la terra delle libertà, ma anche nella nostra vecchia Europa, che di diritti e libertà un pochino s’intende. O almeno dovrebbe, ma i tempi che viviamo sono in grado di togliere all’improvviso qualsiasi certezza. Intanto c’è da rallegrarsi di poterlo ancora fare, questo dibattito, perché ciò è possibile soltanto in democrazia, forma di governo ormai minoritaria sul pianeta e che perfino laddove tuttora sopravvive (tra mille difficoltà e autentici attentati all’equilibrio tra poteri) viene considerata polverosa, superata, fastidiosa. Soprattutto da chi alla società aperta tipica della democrazia deve la sua, spesso chiassosa, affermazione sulla scena pubblica. Comunque una cosa è certa: nelle dittature, nei regimi autocratici e nelle false democrazie (genere oggi decisamente in voga) il problema non si pone, lì la libertà di parola è un “lusso” che può permettersi soltanto chi è disposto a pagare con la vita, con la prigionia o con l’esilio. Allora facciamolo, il dibattito, ma inquadriamolo nell’epoca attuale, che è figlia di una rivoluzione tra le più potenti nella storia dell’umanità: l’invenzione di internet, che insieme ai commerci ha globalizzato con i social anche la diffusione delle opinioni e in particolare delle opinioni “forti”, sfacciatamente predilette dagli algoritmi per motivi non filosofici, ma altrettanto sfacciatamente pecuniari. Per opinioni forti qui s’intende non profonde o articolate, ma il contrario: brevi, lapidarie, polarizzanti, “cattive” nell’accezione finto-positiva che si è voluta dare a questo aggettivo per contrapporlo al “buonismo”, presunta causa di ogni problema sociale. Oggi Aldo Moro, Enrico Berlinguer o Luigi Einaudi difficilmente raccoglierebbero più di qualche manciata di “like”.
È chiaro che, una volta normalizzato un certo tipo di linguaggio, comincia la corsa al rialzo e non ci sono più limiti: si possono criminalizzare interi popoli o categorie di persone, si può insultare chiunque si percepisca come “nemico”, si possono diffondere idee razziste pur negando di farlo, si possono far circolare falsità per mettere in cattiva luce il “bersaglio” di turno. Parole come pietre, insomma. Altro che buonismo. Lo diciamo da tempo, anche le parole d’odio possono fare male e talvolta uccidere, perché non tutti riescono a sostenerne l’impatto e il peso. E temiamo che oggi il noto “paradosso della tolleranza” affermato 80 anni fa da Karl Popper (secondo il quale la società aperta ha il diritto di reprimere le manifestazioni di idee intolleranti, quando mettano a rischio la sua stessa esistenza) non basti, dal momento che lo spazio di diffusione non è più limitato a supporti fisici come libri o giornali né è più contenibile nei confini di una nazione. Un potere così esteso richiederebbe uno sforzo, uguale e contrario, di responsabilità e di rispetto da parte di tutti, in primo luogo dei padroni dell’odierno vapore, cioè i social. E uno sforzo di educazione alla responsabilità e al rispetto da parte delle istituzioni - nazionali e internazionali - e delle famiglie, almeno laddove genitori e nonni non siano già parte attiva e “cattiva” del sistema appena descritto.
Si vede invece all’orizzonte un altro e ben diverso paradosso, da evitare e da smascherare proprio con l’esercizio della libertà d’opinione: quello in base al quale chi critica i discorsi d’odio viene etichettato a sua volta come odiatore e intollerante, messo a tacere, annoverato in moderne liste di proscrizione, licenziato dal posto di lavoro. È quanto sta accadendo negli Stati Uniti sulla scia dell’orrore suscitato dall’assassinio di Kirk, per iniziativa di alcune aziende e dello stesso presidente Donald Trump. Ma qualche avvisaglia si è già vista anche in Europa. La cancel culture è un terribile errore, che arrivi da sinistra o da destra. Il rischio, enorme, è di capovolgere il significato delle parole e della realtà, è quello che avviene quando una rivoluzione cade nella spirale della reazione e diventa un regime. È successo a tutte le rivoluzioni, tranne una: quella americana. Finora.

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