La «pace della forza e dei soldi» in Medio Oriente
I Paesi arabi hanno scelto il pragmatismo di Trump e il percorso (non ideologico) degli Accordi di Abramo

No, non è stata una magia, quella di Trump in Medio Oriente, nemmeno un miracolo. È stata l’applicazione in purezza delle due leggi della fisica che stabiliscono relazioni costanti e misurabili in quella regione: forza (militare, coercitiva, deterrente) e soldi (petrolio, armi, ricostruzioni). Il premier israeliano ha un esercito tra i più forti del mondo, lo sa dispiegare e l’ha usato con inaccettabile implacabilità; il presidente americano ha i soldi, li vuole fare a palate, e li ha messi in circolazione con irriverente spregiudicatezza. La superposizione delle due costanti naturali (almeno in quella parte di mondo) ha funzionato: c’è un cessate il fuoco a Gaza e ci sono una trentina di Paesi mediorientali ed europei – quelli seduti al tavolo di Sharm el-Sheikh – intenzionati a mantenerla. Una bellissima notizia. Che dentro, però, ne porta un’altra, meno bella e più sfidante: il Medio Oriente non sa parlare altro linguaggio che quello della pressione, e l’Occidente non ha (ancora) imparato a codificarlo. Abbiamo provato per 30 anni – europei e americani – a esportare senza successo la nostra democrazia (in Iraq, in Afghanistan, in Nord Africa), imponendo schemi che si sono rivelati improduttivi se non del tutto fallimentari. I tempi suggeriscono si cominci a ragionare out of the box, guardando in faccia, con sano realismo, i nostri interlocutori.
Israele, innanzitutto. Ci piaccia o no, Benjamin Netanyahu può dirsi tra i vincitori. Ha portato a casa gli ostaggi; ha portato “in” casa il sostegno di Trump (che pure alla Knesset l’ha trattato un po’ come il fratello piccolo che l’ha fatta grossa); e ha incassato il sostegno dell’opposizione a un eventuale governo “di riparazione e guarigione” per Israele. I leader centristi Yair Lapid e Benny Gantz non ci hanno messo molto a capire, qualche giorno fa, da che parte andava il vento, e ancora una volta si sono resi disponibili a costruire una maggioranza pragmatica che potrebbe finalmente mettere all’angolo, o meglio direttamente fuori dal quadro, le forze estremiste e impresentabili che per due anni hanno tenuto in scacco, nel modo più vergognoso, un Paese intero. Vedere il leader dell’ultradestra messianica Itamar Ben-Gvir spellarsi le mani in Parlamento per acclamare un accordo che fino al giorno prima considerava totalmente irricevibile, tanto da minacciare l’uscita dal governo in caso di approvazione, è stato il segnale più eloquente di una caduta verso l’irrilevanza che si spera inarrestabile. Le elezioni si terranno tra un anno (ottobre 2026), le voci di un “paracadute giudiziario” per Netanyahu, purché si tolga di mezzo, sono sempre più consistenti, Trump, con quell’invito alla «grazia per Bibi», ci ha messo del suo. Guerra chiusa, giochi aperti.
A livello regionale, invece, non può sfuggire che di tutti i trenta Paesi presenti alla cerimonia di Sharm el-Sheikh l’unico irrimediabilmente immusonito fosse la Turchia. Il presidente Erdogan, che condannò gli Accordi di Abramo come un tradimento della causa palestinese, salvo poi arrendersi all’evidenza di un asse regionale inaspettatamente solido, si è visto sorpassare a destra dai rivali arabi, che, ancora una volta, gli hanno soffiato quel ruolo di mediatore a cui aspira.
Il 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas hanno lanciato il più vile attacco della storia recente di Israele con l’obiettivo di ostacolare un processo negoziale che stava correndo veloce sul percorso impostato dagli Accordi di Abramo. Hanno fallito (e con Israele hanno fatto pagare ai palestinesi un terribile prezzo di sangue e distruzione). Due anni dopo, i leader mediorientali hanno certificato la sconfitta: hanno isolato l’Iran, la sua ideologia, i suoi proxy, e si sono rimessi in cammino verso la normalizzazione dei rapporti con Israele. Hanno scelto la “pace della forza e dei soldi” di Trump. Può non piacere. Ma è quel che ci è dato. È il Medio Oriente. E bisogna ascoltarlo. Meglio: bisogna cercare di andare oltre quel binomio, per costruire una vera pace.
© riproduzione riservata
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Temi






