La "pace dei prossimità" dei giovani. «Cosa faccio io? Evito scontri. Do un esempio»
La ritengono un bene indispensabile ma fragile. La esplorano tra fiducia e smarrimento. E spesso la trovano nei gesti quotidiani

Quello della pace è per i giovani un tema sensibile; e d’altra parte, in questo momento, è anche di drammatica attualità. Anche i più superficiali non possono non porsi qualche domanda sulla situazione che il mondo sta vivendo. Papa Leone, fin dalla sua prima apparizione pubblica, ha augurato al mondo una pace, «disarmata e disarmante», indicando così nella pace una delle urgenze di questo tempo. Il contributo apparso su Avvenire la scorsa settimana ha mostrato come i giovani abbiano un sistema di valori civili importanti; tra essi, la pace. Ma che cosa significa affrontare questo tema oggi, su uno scenario internazionale che vede orribili episodi di distruzione, di violenza e di morte? Che conosce una pressione crescente che fa temere un progressivo espandersi e acutizzarsi? Che cosa pensano i giovani di pace e guerra? E come ritengono di poter contribuire alla realizzazione di un mondo che sia secondo il progetto di una convivenza di pace e di giustizia, come è nei loro desideri e nei loro sogni? Per rispondere a questi interrogativi sono state poste alcune domande ad alcuni giovani; le loro risposte offrono lo spaccato di un mondo giovanile che su questo tema, su cui sono consapevoli che si gioca il futuro loro e di tutti, oscilla tra idealità e realismo, tra speranze e disillusioni, tra impegno quotidiano e senso di impotenza. La guerra è un incubo, inutile e distruttiva: «È una follia, se ne esce tutti perdenti», dice uno dei giovani interpellati. È la voce unanime dei giovani intervistati, che riconoscono nella guerra un altro nome del male e della parte più buia della natura umana. Lo sguardo disincantato di alcuni di loro vede nella guerra il trionfo di logiche di potere e di profitto: «Credo che il beneficio nelle guerre sia sempre di pochi, e il dolore di tanti», dice una giovane. La pace, per la grande maggioranza degli intervistati, è un valore universale, fondamentale, indispensabile per vivere, diritto umano inalienabile. «La pace è un diritto dell’uomo, troppo spesso negato». Molti la considerano condizione imprescindibile per vivere bene, «un bene comune che non dovrebbe mai essere messo in discussione». Spesso, anche su questo tema, emerge come la sensibilità dei giovani sia orientata agli aspetti soggettivi e personali; molti riconducono la pace alle dimensioni del loro desiderio di serenità e di equilibrio interiore: «La pace è fondamentale se vuoi essere felice», dice una ragazza. Ma vi è anche chi è consapevole che essa è legata alla giustizia, al diritto, alla libertà. Dice un giovane: «La pace è libertà e non si può pensare nel 2025 che sia ancora un privilegio», quello di chi la sorte non ha fatto nascere «dalla parte sbagliata del mondo». Quello della pace è un sogno fragile: «Ora più che mai è l’idea di un castello di sabbia». C’è chi la considera un’utopia, qualcosa di desiderabile ma sempre a rischio di svanire. Qualcuno pensa che ai giovani non sia possibile fare nulla; il senso di impotenza spesso nelle parole dei giovani si accompagna alla coscienza della fragilità della pace. Papa Leone, in un recente incontro con il Consiglio dei giovani del Mediterraneo, li ha invitati a reagire all’idea di non poter dare il proprio contributo; li definisce segno di quella gioventù che «immagina un futuro migliore e che ha scelto di mettersi in gioco per costruirlo; segno di un mondo che non si arrende all’indifferenza e all’abitudine, ma si impegna e lavora per trasformare il male in bene». E continua nell’incoraggiamento a diventare protagonisti di un mondo nuovo: «Abbiamo bisogno di coltivare la pace nei nostri cuori e nelle nostre relazioni, di farla sbocciare nei gesti quotidiani, di essere motori di riconciliazione nelle nostre case, nelle comunità, negli ambienti di studio e di lavoro, nella Chiesa e tra le Chiese».
Le azioni quotidiane, le relazioni, gli ambienti della vita di tutti i giorni sono indicati da papa Leone come i luoghi di una pace possibile, alla portata della responsabilità di tutti. È la pace di prossimità: la pace universale nasce anche dalla mia capacità di viverla nelle relazioni di ogni giorno. Non è buonismo: è consapevolezza che le cose grandi nascono dal piccolo contributo di ciascuno. Allora che cosa possono fare i giovani per la pace? È una domanda inevitabile, a fronte della convinzione che i giovani dimostrano di volere la pace, pur ritenendola un bene fragile; se è fragile e indispensabile, allora occorre la disponibilità di tutti a mettersi in gioco, ciascuno nella posizione che occupa e con le possibilità che ha. Alla domanda su come contribuire alla pace, i giovani hanno dato risposte diversificate, che rivelano sia fiducia che smarrimento. Molti indicano i gesti quotidiani: «Nel mio piccolo posso evitare discussioni inutili», «Semplicemente dare l’esempio con la propria vita». Possono sembrare pensieri un po’ naif, ma certo esprimono la consapevolezza che ogni gesto di violenza, più o meno importante, mina le basi di quella pace che ha origine nel cuore delle persone. La pace, dunque, non si costruisce solo nei palazzi del potere, ma anche nelle relazioni di ogni giorno. Altri insistono sulla consapevolezza e la responsabilità: «Occorre non pensarsi non coinvolti nelle dinamiche di guerra». C’è l’idea che ognuno debba sentirsi parte, nel bene e nel male, di ciò che accade nel mondo. Un gruppo significativo richiama la solidarietà concreta: donazioni di beni, sostegno a chi soffre, manifestazioni contro i conflitti. Altri ancora, tra i giovani credenti, parlano di preghiera e spiritualità, mostrando come la dimensione religiosa resti, per molti, un orizzonte di speranza e fondamento per la costruzione di un mondo migliore. Sono parole di giovani che non si arrendono alle difficoltà, che accettano di mettersi in gioco nella loro vita di tutti i giorni, ma che si sentono marginali e irrilevanti. Affiora in loro un sentimento di impotenza: «Una persona da sola può fare poco. In grande risulta concretamente molto difficile». È la consapevolezza che le scelte dei singoli possono incidere poco su dinamiche globali complesse. Si sentono responsabili di gesti di pace, ma anche convinti che la pace tra i popoli ha bisogno di decisioni che vanno al di là di loro e che coinvolgono la politica, la diplomazia, gli organismi internazionali. Vi è un filo che lega la pace al percorso spirituale dei giovani: è la consapevolezza che la pace è una condizione che parte dal cuore, dall’equilibrio personale: «La pace è una condizione che parte da dentro, dall’essere in equilibrio con sé stessi». In fondo è anche una delle indicazioni di papa Leone, proprio ai giovani. Ha detto una ragazza: «La pace è talmente una cosa che fa star bene tutti che non capisco perché non sia l’unica scelta possibile». Anche questo è un modo attraverso cui i giovani dicono di non volersi arrendere all’idea che la pace sia un’utopia. In questi giorni in cui la pace sembra un bene sempre più a rischio e in cui la violenza appare a molti il modo per difendere ciò cui si tiene, a coloro che a diversi livelli hanno responsabilità educative si pongono sfide importanti: quali atteggiamenti, scelte, stili fanno posto alla pace nella vita di tutti i giorni, nei contesti ordinari dell’esistenza dei giovani? Agli educatori tocca il compito di mostrare come la sensibilità spirituale dei giovani possa trovare nell’impegno per la pace una concretizzazione significativa e una strada per realizzare un bene comune. Il rapporto tra spiritualità e comunità passa anche da un’autentica e concreta educazione alla pace, che nella vita quotidiana prende il nome di aiuto reciproco, attenzione all’altro, perdono, rifiuto di ogni violenza a cominciare da quella delle parole. La pace è mitezza, solidarietà, giustizia, rispetto: atteggiamenti che sono alla portata di tutti e che possono contribuire a costruire dal basso una sensibilità per l’umano, via alla pace.
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