Israele diviso, Occidente impotente: la coscienza soppressa
Esistono due Israele: quello chiede la fine della guerra e quello condizionato dall’ultradestra. Ma esistono anche due Occidenti: a Washington l'Amministrazione Trump, qui l'Europa dei tentenn

Per quanto sulle cartine geografiche ne appaia uno solo, in realtà ormai esistono due Israele, sempre più distanti l’uno dall’altro. Da un lato, vi è l’Israele – ampiamente raccontato sulle pagine di questo giornale – che riempie le piazze per protestare contro le operazioni militari a Gaza e le quotidiane stragi di civili; che vede i riservisti bruciare le cartoline di richiamo, rifiutando di considerare legittimo quanto compie il loro esercito contro la popolazione palestinese; che chiede a gran voce la fine della guerra per riportare a casa gli ostaggi; che rifiuta di considerare i palestinesi solo dei nemici da deportare o eliminare, e cerca invece di riannodare i fili di un rapporto lacerato fra le opposte comunità. Dall’altro lato, invece, vi è l’Israele condizionato dall’ultradestra messianica e iper-nazionalista, che tiene in piedi il governo di Bibi Netanyahu, su cui gravano le morti di migliaia di bambini e donne innocenti nella Striscia di Gaza, fautore della campagna contro le comunità musulmane e cristiane in Cisgiordania, e che compie impunemente violazioni del diritto internazionale, a partire dall’uccisione di leader politici, militari e scienziati di Paesi o movimenti nemici. Da ultimo, l’attacco a Doha contro i negoziatori di Hamas. Cercare di uccidere a tradimento dei negoziatori impegnati nella discussione di una possibile tregua proposta dagli Stati Uniti sembrava inconcepibile. Ma è stato fatto. Per di più bombardando la capitale del Qatar, Paese non solo impegnato da anni nelle trattative diplomatiche ma alleato, e teoricamente protetto dagli Stati Uniti. In molti hanno qualificato questo attacco come “terrorismo di Stato”.
Due Stati divergenti con lo stesso nome, quindi. Purtroppo, l’Israele della società civile e che difende i princìpi liberali sembra del tutto impotente contro quello oggi al potere. Perché non solo il condizionamento dell’ideologia estremista dell’ultradestra si è diffuso in profondità nella società ebraica ma ha conquistato il controllo della politica. Si dice spesso che Netanyahu sia ricattato dai ministri Ben-Gvir e Smotrich, ma la verità è che egli stesso ha perso ogni forma di misura umanitaria e di limite. Purtroppo non basteranno le manifestazioni di piazza, non saranno i coraggiosi appelli di intellettuali ebrei e membri della società civile israeliana a fermare le stragi di palestinesi inermi o a bloccare il criminale disegno di espellere due milioni di abitanti da Gaza, per poi rivolgersi verso i territori della Cisgiordania. La storia europea dello scorso secolo ci offre troppe evidenze di come minoranze estreme e violente siano capaci di piegare alla loro volontà popoli e Stati, spesso con esiti estremamente tragici.
Dinanzi a tutto ciò cosa deve fare l’Occidente? Il problema è che – per quanto riguarda questo conflitto – esistono parallelamente due Occidenti divergenti: a Washington la sconclusionata e dilettantesca Amministrazione Trump, persa fra le mille giravolte del suo presidente, è di fatto schiacciata e manipolata da Netanyahu. In Europa le divisioni, i tentennamenti, la memoria della nostra vergognosa storia passata contro le comunità ebraiche ci rende afoni e incapaci di una linea d’azione comune. In molti rifiutano di andare al di là di formali parole di condanna contro gli eccessi di Tel Aviv, aggrappandosi proprio all’esistenza dell’Israele civile e democratico. Senza capire che così si lascia mano libera all’altro Israele.
Un primo, timido segnale, ieri, l’Europarlamento l’ha dato. Ma se davvero si volessero aiutare i tanti israeliani che lottano contro gli eccessi del loro governo, se davvero volessimo sostenere i tanti ebrei europei che si indignano dinanzi alla ferocia delle stragi a Gaza, allora dalle parole sarebbe necessario passare rapidamente ai fatti: sospendere gli accordi dell’Unione Europea con lo Stato ebraico, a partire dalla fornitura di armi, e attuare una crescente pressione politica, finanziaria e commerciale. Il rischio dell’inazione è veder dilagare la deriva estremista che minaccia di far soccombere l’Israele migliore, lasciando solo il peggiore.
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