Investiamo nella bellezza. Scelta giusta che rende di più

Ogni estate, come pellegrini senza meta definitiva ma con lo spirito dei grandi viaggiatori, attraversiamo l’Italia sugli itinerari che per secoli hanno attirato uomini e donne da tutto il mondo
August 26, 2025
Investiamo nella bellezza. Scelta giusta che rende di più
Alamy | Il centro storico di Petralia Soprana, in Sicilia
Ogni estate, come pellegrini senza meta definitiva ma con lo spirito dei grandi viaggiatori, attraversiamo l’Italia percorrendo gli stessi itinerari che per secoli hanno attirato uomini e donne da ogni parte del mondo, mossi dal desiderio di incontrare – ciascuno nel proprio personalissimo Grand Tour – la forma più alta dell’armonia tra architettura, arte, natura e cultura. Ci riscopriamo, inevitabilmente, rapiti da una bellezza senza tempo che non smette di stupire e commuovere. Ogni volta, l’Italia ci appare come un poema scritto in pietra e in paesaggio, una partitura di bellezza che i nostri antenati hanno composto con tenacia, coraggio e visione.
Non è solo romanticismo. Davanti a tale magnificenza, viene, infatti, da chiedersi: con quale logica economica, con quale calcolo finanziario furono concepite queste meraviglie? Nessuna, verrebbe da rispondere. I nostri antenati non avevano fogli calcolo né business plan, non inseguivano il ritorno immediato sul capitale investito. Avevano, invece, un altro obiettivo, ben più nobile e ambizioso: creare bellezza. O, meglio ancora, gareggiare nel creare bellezza.
Certo, anche questa bellezza è frutto di intenzioni non sempre generative e di capitali, spesso accumulati nell’ingiustizia e nella diseguaglianza.
Ma la lezione che vale la pena trarne è che la bellezza, allora come oggi, sorprendentemente si rivela il più redditizio degli investimenti: la ricchezza generata dalle nostre città d’arte e dalle bellezze naturali ben custodite, lo testimonia inequivocabilmente.
In questo senso, il nostro patrimonio urbano, artistico e paesaggistico rappresenta i primi veri unicorni della storia. Ma, a differenza degli effimeri unicorni della finanza contemporanea - aziende valutate miliardi per qualche anno e destinate spesso a sgonfiarsi con la stessa rapidità con cui sono nate - i nostri unicorni valgono infinitamente di più. Essi producono i loro effetti non in una manciata di trimestri, ma in un arco temporale lunghissimo, che attraversa i secoli. Con ritorni mille volte superiori sul piano finanziario e, soprattutto, su quello sociale, spirituale, etico ed estetico. Sono unicorni che generano senso di comunità, che nutrono l’anima oltre che l’economia, che nutrono ed innalzano lo spirito mentre creano ricchezza.
Per comprendere la forza di questa intuizione, vale la pena interrogarsi sul concetto stesso di bellezza. Fin dai Greci, il kalós era inseparabile dall’agathós: bello e buono erano due facce della stessa realtà. Platone e Aristotele lo legarono alla verità, i Padri della Chiesa lo identificarono con la sapienza divina. Dostoevskij, con il Principe Myškin, affermava che «la bellezza salverà il mondo» – e non parlava di un’estetica superficiale, ma della pulchritudo Dei, della grazia che redime. La bellezza è dunque principio etico e metafisico insieme: ciò che è bello è buono, ciò che è buono è utile, e ciò che è utile è giusto. Non si tratta di giochi di parole, ma di un principio ontologico che percorre tutta la storia del pensiero occidentale.
Eppure, oggi ci ostiniamo a misurare ogni scelta pubblica e privata con il metro angusto del breve periodo: minor costo e massimo utile nel minor tempo. Abbiamo sacrificato l’orizzonte lungo sull’altare della velocità. Viviamo in un modello di sviluppo estrattivo, che si illude di generare ricchezza (per pochi) mentre in realtà accresce povertà (per molti), divorando risorse e producendo scarti, diseguaglianze, ingiustizie e morte. Papa Leone XIV lo ricorda fin dal suo insediamento. Si tratta di un modello che misura il successo sull’immediato, e che proprio per questo si condanna all’irrilevanza nel lungo periodo. Invece la bellezza, autentica e duratura, dimostra che ciò che è giusto non è mai nemico dell’efficienza. Se soltanto sapessimo cambiare prospettiva, comprenderemmo che l’investimento nella bellezza non solo è il più redditizio, ma è anche giusto. Anzi, è il più redditizio perché è giusto. È bene comune, nel senso più profondo della parola. Non genera solo ricchezza materiale, ma alimenta benessere interiore, coesione sociale, orgoglio di appartenenza, egemonia culturale e strategica, identità. Ben oltre il Pil, ben oltre l’Ebitda.
Il viaggio attraverso le città, i paesaggi e i borghi italiani non è, allora, soltanto un atto romantico. Esso è un esercizio politico e morale. È viaggio nel passato che ci proietta nel futuro, è metafora di una opzione possibile, è testimonianza di un approccio diverso e vincente che ci invita a ripensare l’economia come strumento per la cura della casa comune (oikonomia) e non come mezzo per l’accumulo indefinito di ricchezza (chrematistiké). E in questo intreccio armonico tra bellezza, bontà, utilità e giustizia, ritroviamo non soltanto la radice della nostra storia, ma anche la chiave del nostro avvenire.

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