Il caso Milano è una storia di successo e di vertigini

Questione morale o no, il destino del capoluogo lombardo era già scritto, scolpito nella traiettoria globale delle città e negli appetiti dei capitali. Tra bellezza e avidità, lo spettro di un declino
July 18, 2025
Il caso Milano è una storia di successo e di vertigini
Ansa | I grattacieli di Milano
Se in una giornata grigia, di quelle che il bel cielo di Lombardia è un’attesa manzoniana, si esce da Milano per salire sulle cime lariane, o della bergamasca, persino in Svizzera, può capitare osservando il mare di nebbia e nuvole steso sulla pianura, di scorgere le punte dei grattacieli che bucano la cappa e conquistano luce e ossigeno. Così ci si sente un po’ viandanti, in una modernità che può ben essere romantica, perché Milano è diventata bella anche col cemento e il vetro dei palazzi, ed emoziona, per la vita che vi scorre e la vitalità che si percepisce. Dall’alto e da lontano, si guarda: vedi Milano e vorresti esserci. Fin troppo.
È vero che il giorno in cui in cima alla torre Hadid, sullo “Storto”, si è incrinata l’enorme insegna delle Assicurazioni, in tanti giù da basso hanno pensato: è un segno. Una ferita rossa in capo a un simbolo cementizio, presagio di cosa? La risposta è arrivata in breve, con le inchieste della procura su un ipotetico giro corruttivo attorno alla Milano verticale, boschiva o meno. Quasi un vuoto colmato, un sospeso risolto, quello dei giudici. Perché gli stessi che l’altro ieri si interrogavano su segni e presagi, da anni si domandavano: ma come è possibile che, con tutti questi grattacieli spuntati dalle aiuole, non sia venuto fuori ancora nulla di losco? Possibile? In Italia? Eccoci, dunque. Accontentati.
Qualcuno si chiede ancora come mai la gente di successo a un certo punto non si faccia andare bene quel tanto che ha, dimenticandosi che il passo dell’avidità è proprio uno dei motori dell’affermazione, e senza, Milano non sarebbe Milano. Ma è un errore concentrarsi ora su questo. Il punto, la domanda cruciale, semmai, è: posto che del malaffare ci sia realmente stato – perché non è ancora detto e non è ancora provato – in un contesto di totale onestà e correttezza e trasparenze ed etica cristallina, la città oggi sarebbe diversa da quella che è diventata dopo l’Expo?
Forse il destino di Milano era già scritto, questione morale o no. Scolpito, cioè, nel successo delle città. Guarda caso il 2007, l’anno in cui prende a vacillare il castello di carte dei mutui subprime e si prepara lo scoppio della bolla immobiliare statunitense, quella a monte della Grande Crisi, e che ha ufficialmente inaugurato l’era dell’incertezza globale, il 2007 dicevamo, è l’anno in cui nel mondo si registra il sorpasso epocale tra il numero di persone che abita in un contesto urbano e quelle che resistono in un territorio rurale.
Il mondo sviluppato vive nelle città, produce per le città e consuma nelle città, lavora, studia, e via dicendo. Vuole andare nelle città e la città stessa può produrre ricchezza, e latte buono, se si è bravi a mungere. I grandi capitali del mondo non chiedono altro, è un codice globale. Le volumetrie si autoalimentano crescendo dalle spore, le persone si muovono e si intrattengono, c’è cibo per tutti, ma il lusso è per pochi, lo spazio urbano è un parco tematico, ma i bambini sono adulti, le case sono sempre aperte, ma gli occupanti cambiano di continuo.
La fine dei bambini è anche un po’ colpa di queste città, dove le ruote dei trolley girano meglio di quelle dei passeggini. Va così, e non è una questione morale, è semplicemente una grande questione. La decadenza dei Buddenbrook, in fondo, incomincia dalla nuova casa.

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