I tagli ai fondi per la lotta all'Aids: il disimpegno che condanna

Nonostante gli altolà posti dalla magistratura americana, l’Amministrazione Trump sta andando avanti imperterrita col suo progetto di rottamazione dell’Usaid
May 2, 2025
I tagli ai fondi per la lotta all'Aids: il disimpegno che condanna
Sipa USA / Alamy Stock Photo | Donne sfollate nel Tigray
Nonostante gli altolà posti dalla magistratura americana, l’Amministrazione Trump sta andando avanti imperterrita col suo progetto di rottamazione dell’Usaid, l’agenza di cooperazione statunitense creata nel 1961 per iniziativa di John Fitzgerald Kennedy. Una riforma che nelle intenzioni del Governo dovrebbe anche comportare la sottrazione all’Usaid di una serie di linee di finanziamento che entro il 1° luglio 2025 dovrebbero passare sotto la competenza di altre strutture governative. Fra le attività in predicato di trasferimento sono citate anche l’assistenza sanitaria e umanitaria, due attività appartenenti alla ragion d’essere dell’Usaid. Tanto da chiedersi cosa ne rimarrebbe dell’agenzia di cooperazione, qualora il Congresso ratificasse in toto i propositi espressi dal governo. Ma il quesito maggiore è cosa accadrebbe, come Avvenire sta raccontando da diverse settimane, a tutte quelle popolazioni che vivono in stato di emergenza alimentare e sanitaria.
Nel 2024 l’Usaid ha destinato dieci miliardi di dollari, quasi la metà del suo intero bilancio, per iniziative di emergenza umanitaria allestite in 66 Paesi afflitti da conflitto armati o disastri naturali.
Un’altra somma piuttosto consistente è stata utilizzata anche per progetti di carattere sanitario fra cui il Pepfar, il programma finalizzato alla cura e prevenzione dell’Aids, che interessa oltre venti milioni di persone, già ammalate o a rischio malattia, sparse in 55 Paesi. Il peggio è che altri quattro Paesi molto attivi contro l’Aids, hanno annunciato tagli ai loro programmi fra l’8% e il 70% nei prossimi due anni. Si tratta di Gran Bretagna, Francia, Germania e Olanda, che assieme agli Usa garantiscono il 90% di tutti i fondi internazionali destinati alla lotta contro l’Aids.
Uno studio della rivista scientifica Lancet ha calcolato che il taglio degli stanziamenti da parte dei grandi donatori, può provocare una pericolosa recrudescenza dell’Aids nei Paesi più poveri con conseguenze drammatiche per la popolazione. Lo studio ipotizza la comparsa di nuovi casi di positività stimabili in 4-11 milioni di persone e una crescita di decessi compresi fra 700mila e tre milioni, nel prossimo quinquennio. Giova ricordare che l’Aids è una malattia provocata da un virus, l’Hiv, che attacca il sistema immunitario ed è trasmissibile da persona a persona non solo tramite rapporti sessuali non protetti o per il tramite di aghi infetti, ma anche da madre a figli al momento del parto. Le persone positive all’Hiv non sottoposte a cura possono sviluppare la malattia che nel tempo può risultare fatale. L’Aids è stata la malattia infettiva più mortale nei primi anni Novanta del secolo scorso. Non c’è ancora una cura risolutiva contro il virus, ma i farmaci moderni riescono a tenerlo sotto controllo permettendo a chi si cura adeguatamente di vivere senza sintomi e di non contagiare altri. I continui sforzi per accrescere la consapevolezza, per rafforzare la prevenzione, per individuare precocemente i nuovi casi e per curare i positivi, ha ridotto la ma-lattia del 39% all’anno facendo passare i positivi da 2,1 milioni nel 2010 a 1,3 milioni nel 2023.
Anche le morti si sono ridotte del 51% all’anno, passando da 1,3 milioni a 630mila nello stesso periodo. I miglioramenti più significativi si sono registrati in Africa Sub-sahariana dove l’epidemia è da sempre più pronunciata. Tutt’oggi quasi due terzi delle persone Hiv positive vivono in Africa Sub-sahariana, mentre si può dire che la quasi totalità dei positivi si trova nei Paesi a reddito basso e medio. Se i fondi contro l’Aids continuano ad essere tagliati, la malattia può tornare a galoppare a livello mondiale fino a raggiungere 3,4 milioni di Hiv positivi nel 2030, che è un numero superiore a quello che si registrò durante il picco del 1995 (3,3 milioni). La regione che ne risentirebbe di più, sarebbe senz’altro l’Africa Sub-sahariana considerato l’attuale numero di positivi e la sua capacità di cura altamente dipendente dai contributi esteri.
Ma si potrebbero avere ripercussioni negative anche a distanza soprattutto fra i gruppi sociali più vulnerabili, come i tossicodipendenti che fanno uso di siringhe e gli omosessuali, fra i quali si registra una presenza di infezione da Hiv fino a sei volte più alta rispetto al resto della popolazione. Nel 2023, i Paesi asiatici del Pacifico, che dopo l’Africa Sub-sahariana hanno la maggior circolazione del virus, hanno ricevuto contributi internazionali pari a 591 milioni di dollari per la lotta all’Aids. Per cui anche questa regione è a forte rischio di ripresa in caso di tagli ai contributi. Ma siamo in tempo di grande mobilità internazionale e il contagio può espandersi rapidamente da una zona all’altra, come abbiamo constatato anche con il Covid. D’altra parte, è stato accertato che più del 10% degli Hiv positivi nati in Australia si sono contagiati all’estero. Un avvertimento che dovrebbe farci capire come scherzare con le malattie infettive non conviene a nessuno. Ma soprattutto dovrebbe insegnarci che quando crediamo di donare agli altri, in realtà doniamo a noi stessi.

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