Giovani “in uscita”. Ma alla ricerca di spiritualità
Le nuove generazioni si sono allontanate dai perimetri tradizionali. E si stanno spingendo sul territorio aspro delle domande di senso. Spesso zaino in spalla sui "cammini" vecchi e nuovi

L’ascolto dei giovani permette di riconoscere una posizione, sulle questioni religiose e spirituali, piuttosto inaspettata. Si potrebbe dire che i giovani sono … in uscita. È papa Francesco che ci ha abituato a questa espressione con cui voleva sollecitare le comunità e i cristiani a non restare aggrappati agli ambienti, alle abitudini, alle pratiche vissute nel perimetro dell’ombra del campanile; papa Francesco ha sollecitato la Chiesa ad uscire, a frequentare le strade, le case, i luoghi della vita ordinaria. Bisogna ammettere che sulla pastorale questa espressione ha influito poco; la tensione missionaria si è accontentata di continuare a chiamare sempre a sé, al proprio interno, pur con proposte diverse. Chi è “uscito” sono stati i giovani. Non sono usciti in senso missionario: hanno oltrepassato il perimetro della comunità cristiana e se ne sono allontanati; hanno varcato il confine della religione, e si sono avventurati sul territorio aspro delle domande di senso; sono usciti dai percorsi tradizionali e si stanno spingendo su terre nuove di inquietudine e di ricerca.
Sono usciti dalla Chiesa. Non c’è bisogno di tante indagini per accertare questo fatto: basta osservare quante sono le presenze giovanili alle ordinarie celebrazioni o iniziative della comunità cristiana. Sono usciti dalla Chiesa così come oggi si propone, si pensa, si vive. Sono usciti dalla comunità cristiana, dove hanno fatto anche esperienze positive, ma dove non trovano più risposte agli interrogativi che l’esistenza pone loro; soprattutto non trovano relazioni significative, non trovano persone adulte disposte ad essere punti di riferimento per la loro crescita nella libertà e in un progetto di vita che sia effettivamente loro. Non si sentono partecipi di un contesto che continua a considerarli persone che hanno bisogno di essere educate, e troppo poco di essere ascoltate e di essere valorizzate. Sono usciti dalla religione, con i suoi riti, le sue regole, i suoi dogmi: loro sono in cerca di altro. Non rifiuterebbero ciò che dà forma religiosa alla vita, ma questi elementi dovrebbero presentarsi in un modo diverso: più personale, più convincente, più attuale. Hanno abbandonato la religione per il suo carattere istituzionale troppo rigido, impersonale, freddo. La difficoltà di accettare l’istituzione – tutte le istituzioni – interessa anche la dimensione religiosa.
Non sono approdati al nulla, al vuoto, ma sono approdati alla spiritualità. Il rifiuto degli aspetti tradizionali dell’esperienza religiosa non li ha portati in genere al nichilismo, o a un materialismo privo di anima, ma sembra aver aperto loro le porte di una nuova esperienza spirituale. Sembra che sotto i nostri occhi si stia realizzando quanto scrive Tomas Halik nel suo Pomeriggio del cristianesimo. Egli afferma che i teorici della secolarizzazione avevano previsto, con l’avanzare del processo secolare, la fine delle religioni. Invece, «la secolarizzazione non ha eliminato la religione, l’ha trasformata». Il maggiore concorrente delle chiese oggi non è «l’umanesimo secolare né l’ateismo, bensì una religiosità che si allontana dalla Chiesa. (…). Nel mondo di oggi tre fenomeni meritano attenzione: anzitutto la metamorfosi della religione in un’ideologia politica identitaria, poi il cambiamento della religione in spiritualità, infine l’aumento di coloro che non si riconoscono in nessuna delle “religioni organizzate”, ma neppure nell’ateismo».
Molti forse si stupiscono leggendo che i giovani sono approdati alla spiritualità; vi è un’opinione comune diffusa che tende a pensare alle nuove generazioni come superficiali e indifferenti; eppure loro si riconoscono come spirituali. In una recente indagine sui giovani delle quinte classi di alcune scuole superiori a livello nazionale, risulta che il 72% di loro ritiene di essere spirituale, rappresentando in modi diversi la propria sensibilità. La concezione tradizionale della spiritualità, fortemente legata alla religione, stenta a riconoscere negli atteggiamenti, nelle parole e nelle scelte dei giovani i tratti di una spiritualità. Ma occorre intendersi sul significato di questo termine. Gli studiosi elencano ben settanta definizioni di essa! I giovani si riconoscono in una o nell’altra di esse. Ne cito tre, per esemplificare una sensibilità molto raffinata e ricca nel leggere il proprio mondo interiore. «La spiritualità è entrare in comunione con ciò che ti circonda… È trovare gli stimoli, la felicità e la pace, la quiete dentro te stesso e non cercarla fuori» (un venticinquenne); «è introspezione, guardarsi dentro», (una ventiquattrenne); le fa eco una coetanea: «È associata al silenzio e all’ascolto, ascolto di qualcosa che è invisibile». C’è una serie di parole che tornano nelle definizioni dei giovani: connessione, interiorità, quiete, ricerca, silenzio… Si tratta di parole antiche che talvolta i giovani riesprimono con un linguaggio più loro: benessere, armonia, meditazione…
Mi pare che vi siano due vocaboli che sottostanno a queste diverse accezioni di spiritualità: mancanza e ricerca. Proprio l’allontanamento dalla religione e dalla sua visione della vita ha privato i giovani di risposte riguardanti soprattutto il senso: delle cose, delle relazioni, della vita stessa. Emerge in questo modo la percezione di una assenza: è la presa di coscienza che vi è sempre qualcosa che manca per dare pienezza alla vita. Questa esperienza interiore di inquietudine mette in movimento una ricerca interiore che parecchi giovani rappresentano con l’immagine del viaggio. Spiritualità è un viaggio interiore, alla ricerca di un senso, alla ricerca di se stessi e della propria identità profonda.
Sembra essere prova di questa tendenza la ripresa di interesse per i vari “cammini”: quello antico e tradizionale di Santiago di Compostela, e anche nuovi cammini che vedono aumentare il numero dei viandanti che, zaino in spalla, cercano la suggestione di antiche vie e un’esperienza di immersione nella natura: il cammino di sant’Anna, in Valle Stura, nel cuneese; quello dei borghi silenti, il cammino del viandante, la via del sale da Varzi a Portofino, la via degli dei, da Bologna a Firenze… Si tratta di percorsi che non hanno una connotazione religiosa, ma che fondano il loro interesse nella possibilità che offrono alle persone di vivere un’esperienza di ricerca interiore, di incontro con lo sconosciuto, di conoscenza di se stessi nella fatica e nell’esposizione alla natura con la sua imprevedibilità. La ricerca di se stessi percorre molti sentieri - quasi mai autostrade - lungo i quali si sperimenta la forza trasformativa del mettersi in movimento, in ricerca.
Nella sensibilità spirituale dei giovani si coglie la centralità del proprio sé. Si tratta di un elemento in cui si rispecchia la tendenza soggettivistica della cultura moderna: «La vita vissuta secondo la tradizione è sostituita dalla vita vissuta in accordo alla propria interiorità», afferma la sociologa Rita Bichi. Si tratta di un elemento complesso e ambiguo, eppure promettente. Ambiguo, perché è chiaro che un’esasperata attenzione al proprio sé finisce con l’alimentare individualismo, soggettivismo, narcisismo e chiusura; eppure promettente, perché significa possibilità di radicare nel cuore le proprie scelte; significa possibilità di vivere la dignità della persona, libertà e responsabilità; di dare fondamento buono all’apertura all’altro, di vivere la fede non come semplice appartenenza sociale, ma come scelta personale radicata nel sacrario della propria coscienza (cfr Mt 6,6; Gaudium et Spes 16).
Una lettura attenta e libera delle affermazioni dei giovani permette di cogliere in esse echi agostiniani ben evidenti: il richiamo all’interiorità, l’invito a rientrare in se stessi, il riconoscere che nell’intimo di sé abita la Verità, l’inquietudine di una ricerca senza fine… La comunità cristiana e i suoi educatori sono pronti ad accogliere e assumere la nuova domanda di spiritualità dei giovani?
Sono usciti dalla Chiesa. Non c’è bisogno di tante indagini per accertare questo fatto: basta osservare quante sono le presenze giovanili alle ordinarie celebrazioni o iniziative della comunità cristiana. Sono usciti dalla Chiesa così come oggi si propone, si pensa, si vive. Sono usciti dalla comunità cristiana, dove hanno fatto anche esperienze positive, ma dove non trovano più risposte agli interrogativi che l’esistenza pone loro; soprattutto non trovano relazioni significative, non trovano persone adulte disposte ad essere punti di riferimento per la loro crescita nella libertà e in un progetto di vita che sia effettivamente loro. Non si sentono partecipi di un contesto che continua a considerarli persone che hanno bisogno di essere educate, e troppo poco di essere ascoltate e di essere valorizzate. Sono usciti dalla religione, con i suoi riti, le sue regole, i suoi dogmi: loro sono in cerca di altro. Non rifiuterebbero ciò che dà forma religiosa alla vita, ma questi elementi dovrebbero presentarsi in un modo diverso: più personale, più convincente, più attuale. Hanno abbandonato la religione per il suo carattere istituzionale troppo rigido, impersonale, freddo. La difficoltà di accettare l’istituzione – tutte le istituzioni – interessa anche la dimensione religiosa.
Non sono approdati al nulla, al vuoto, ma sono approdati alla spiritualità. Il rifiuto degli aspetti tradizionali dell’esperienza religiosa non li ha portati in genere al nichilismo, o a un materialismo privo di anima, ma sembra aver aperto loro le porte di una nuova esperienza spirituale. Sembra che sotto i nostri occhi si stia realizzando quanto scrive Tomas Halik nel suo Pomeriggio del cristianesimo. Egli afferma che i teorici della secolarizzazione avevano previsto, con l’avanzare del processo secolare, la fine delle religioni. Invece, «la secolarizzazione non ha eliminato la religione, l’ha trasformata». Il maggiore concorrente delle chiese oggi non è «l’umanesimo secolare né l’ateismo, bensì una religiosità che si allontana dalla Chiesa. (…). Nel mondo di oggi tre fenomeni meritano attenzione: anzitutto la metamorfosi della religione in un’ideologia politica identitaria, poi il cambiamento della religione in spiritualità, infine l’aumento di coloro che non si riconoscono in nessuna delle “religioni organizzate”, ma neppure nell’ateismo».
Molti forse si stupiscono leggendo che i giovani sono approdati alla spiritualità; vi è un’opinione comune diffusa che tende a pensare alle nuove generazioni come superficiali e indifferenti; eppure loro si riconoscono come spirituali. In una recente indagine sui giovani delle quinte classi di alcune scuole superiori a livello nazionale, risulta che il 72% di loro ritiene di essere spirituale, rappresentando in modi diversi la propria sensibilità. La concezione tradizionale della spiritualità, fortemente legata alla religione, stenta a riconoscere negli atteggiamenti, nelle parole e nelle scelte dei giovani i tratti di una spiritualità. Ma occorre intendersi sul significato di questo termine. Gli studiosi elencano ben settanta definizioni di essa! I giovani si riconoscono in una o nell’altra di esse. Ne cito tre, per esemplificare una sensibilità molto raffinata e ricca nel leggere il proprio mondo interiore. «La spiritualità è entrare in comunione con ciò che ti circonda… È trovare gli stimoli, la felicità e la pace, la quiete dentro te stesso e non cercarla fuori» (un venticinquenne); «è introspezione, guardarsi dentro», (una ventiquattrenne); le fa eco una coetanea: «È associata al silenzio e all’ascolto, ascolto di qualcosa che è invisibile». C’è una serie di parole che tornano nelle definizioni dei giovani: connessione, interiorità, quiete, ricerca, silenzio… Si tratta di parole antiche che talvolta i giovani riesprimono con un linguaggio più loro: benessere, armonia, meditazione…
Mi pare che vi siano due vocaboli che sottostanno a queste diverse accezioni di spiritualità: mancanza e ricerca. Proprio l’allontanamento dalla religione e dalla sua visione della vita ha privato i giovani di risposte riguardanti soprattutto il senso: delle cose, delle relazioni, della vita stessa. Emerge in questo modo la percezione di una assenza: è la presa di coscienza che vi è sempre qualcosa che manca per dare pienezza alla vita. Questa esperienza interiore di inquietudine mette in movimento una ricerca interiore che parecchi giovani rappresentano con l’immagine del viaggio. Spiritualità è un viaggio interiore, alla ricerca di un senso, alla ricerca di se stessi e della propria identità profonda.
Sembra essere prova di questa tendenza la ripresa di interesse per i vari “cammini”: quello antico e tradizionale di Santiago di Compostela, e anche nuovi cammini che vedono aumentare il numero dei viandanti che, zaino in spalla, cercano la suggestione di antiche vie e un’esperienza di immersione nella natura: il cammino di sant’Anna, in Valle Stura, nel cuneese; quello dei borghi silenti, il cammino del viandante, la via del sale da Varzi a Portofino, la via degli dei, da Bologna a Firenze… Si tratta di percorsi che non hanno una connotazione religiosa, ma che fondano il loro interesse nella possibilità che offrono alle persone di vivere un’esperienza di ricerca interiore, di incontro con lo sconosciuto, di conoscenza di se stessi nella fatica e nell’esposizione alla natura con la sua imprevedibilità. La ricerca di se stessi percorre molti sentieri - quasi mai autostrade - lungo i quali si sperimenta la forza trasformativa del mettersi in movimento, in ricerca.
Nella sensibilità spirituale dei giovani si coglie la centralità del proprio sé. Si tratta di un elemento in cui si rispecchia la tendenza soggettivistica della cultura moderna: «La vita vissuta secondo la tradizione è sostituita dalla vita vissuta in accordo alla propria interiorità», afferma la sociologa Rita Bichi. Si tratta di un elemento complesso e ambiguo, eppure promettente. Ambiguo, perché è chiaro che un’esasperata attenzione al proprio sé finisce con l’alimentare individualismo, soggettivismo, narcisismo e chiusura; eppure promettente, perché significa possibilità di radicare nel cuore le proprie scelte; significa possibilità di vivere la dignità della persona, libertà e responsabilità; di dare fondamento buono all’apertura all’altro, di vivere la fede non come semplice appartenenza sociale, ma come scelta personale radicata nel sacrario della propria coscienza (cfr Mt 6,6; Gaudium et Spes 16).
Una lettura attenta e libera delle affermazioni dei giovani permette di cogliere in esse echi agostiniani ben evidenti: il richiamo all’interiorità, l’invito a rientrare in se stessi, il riconoscere che nell’intimo di sé abita la Verità, l’inquietudine di una ricerca senza fine… La comunità cristiana e i suoi educatori sono pronti ad accogliere e assumere la nuova domanda di spiritualità dei giovani?
(2 - continua)
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