Firmiamo un patto per i figli dell'Italia che verrà
La natalità è ai minimi storici, ma senza integrazione familiare, scolastica e sociale, il contributo demografico degli immigrati resta incompiuto. Ecco i tre punti-chiave per una svolta

La crisi della natalità in Italia innesca la ricerca di possibili risposte. Tra di esse, certo non unica ma comunque ineludibile, trova posto la considerazione dell’apporto degli immigrati al ringiovanimento della popolazione e all’incremento delle nascite. Un fatto già in corso, da alcuni salutato con favore, da altri temuto come una minaccia, secondo la dottrina complottista della sostituzione etnica. Su 370mila nati nel 2024, oltre 80mila hanno almeno un genitore immigrato: il 21,8% del totale. Tra l’altro, 30mila sono nati da coppie miste, a conferma di una mescolanza sempre più diffusa tra italiani e stranieri. Senza contare, tra gli italiani per passaporto, gli ex-immigrati naturalizzati. Difficile dunque, e controproducente, immaginare di fare a meno del contributo degli immigrati, sotto il profilo degli equilibri demografici, occupazionali e pensionistici. Non basta però neppure ammettere che ne abbiamo bisogno, senza impegnarsi a valorizzare la risorsa delle forze giovani che arrivano dall’estero. Lasciati ai margini della società, tra lavori malpagati e periferie degradate, dovranno dar prova di qualità non comuni per riuscire a offrire un futuro dignitoso ai loro figli. Serve dunque un patto, insieme interetnico e intergenerazionale, per mettere a frutto questo potenziale di ringiovanimento, promuovendo coesione sociale e integrazione reciproca. Senza di esse, il mero contributo demografico sarebbe inutile, forse addirittura dannoso.
Il primo punto del patto dovrebbe prevedere la facilitazione dei ricongiungimenti familiari. I lavoratori soli servono forse all’economia, ma non contribuiscono al riequilibrio demografico. Va ricordato che il governo Meloni ha invece raddoppiato, da uno a due anni, la moratoria per poter chiedere di portare in Italia la famiglia, una volta soddisfatte le altre condizioni previste, in termini di reddito e abitazione. I decreti-flussi hanno autorizzato, in modo lungimirante, cospicui nuovi ingressi di lavoratori, stagionali e stabili (497.500 per il 2026-2028), ma non dicono nulla sulla loro integrazione familiare e sociale. Il secondo punto riguarda l’edilizia sociale: vanno rimosse le barriere che le normative regionali e locali ancora frappongono all’accesso delle famiglie immigrate, nonostante le sentenze contrarie dei tribunali. Quasi superfluo richiamare che servirebbe un nuovo piano Fanfani in risposta alla grande fame di alloggi accessibili che oggi colpisce le fasce popolari e giovanili, italiane e immigrate.
In terzo luogo, un patto per favorire l’apporto demografico degli immigrati dovrebbe coinvolgere il sistema scolastico. Abbiamo 930mila alunni di “cittadinanza non italiana”, come dice il Ministero, nelle nostre scuole. Nonostante i miglioramenti, grazie al fatto che ormai in maggioranza questi alunni sono nati in Italia, si registrano ancora troppi ritardi e abbandoni scolastici, soprattutto tra i maschi. Se la scuola (e la formazione professionale, dove c’è e funziona) li perdono, il loro apporto al futuro del Paese viene messo a rischio. Anche qui, avremmo bisogno di un piano all’insegna del motto “non uno di meno”. Si pone infine la questione degli sbocchi lavorativi qualificati. Ancora più che per i giovani italiani, al problema demografico si somma quello della fuoriuscita delle forze giovani e in gran parte istruite dal nostro paese. L’immigrazione insediata in Italia conosce un fenomeno crescente di onward migrations: seconde migrazioni verso altri Paesi sviluppati. Nelle nuove generazioni istruite il processo è ancora più pronunciato. Tra il 2012 e il 2022 146mila italiani per naturalizzazione si sono trasferiti all’estero, 40mila nel biennio 2021-2022 (Fondazione Migrantes). Non basta quindi accogliere positivamente il contributo demografico degli immigrati, così come non basta favorire le nuove nascite. Bisogna che le nuove forze possano crescere bene, sviluppare le loro potenzialità, trovare le condizioni per stabilirsi e portare frutti al servizio del nostro affaticato Paese.
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