Essere inquieti. Restare umani
Ottant’anni fa, alle 8.15 del mattino, un aviatore eseguì gli ordini e sganciò la bomba atomica su Hiroshima. Non fece obiezione di coscienza. Quel silenzio ha paralizzato la coscienza dell'umanità

Ottant’anni fa, alle 8.15 del mattino, un aviatore eseguì gli ordini e sganciò la bomba atomica su Hiroshima. Non fece obiezione di coscienza. Fabrizio De André, nella sua canzone Girotondo ricordava amaramente quel gesto, rivolgendosi ai bambini che speravano: «Ci salva l’aviatore che non lo farà. Ci salva l’aviatore che la bomba non getterà». Ma poi l’annuncio tragico: «La bomba è già caduta... e la prenderanno tutti... sian belli o siano brutti, sian grandi o sian piccini li distruggerà...». Quel silenzio dell’agosto 1945, infranto da “Little Boy”, ha paralizzato la coscienza dell’umanità. E da allora, da Auschwitz a My Lai in Vietnam, da Phnom Penh a Srebrenica, da Bucha al kibbutz di Re’im alle interminabili ore di Gaza, dove si continuano a bombardare indiscriminatamente civili e in particolare vecchi, malati, donne e bambini che cercano acqua e cibo, ci accompagna la stessa domanda lacerante: dov’è Dio?
De André rispondeva ai bambini con un amaro sussurro: «Buon Dio è già scappato, dove non si sa. Buon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà». Ma a Tor Vergata papa Leone (e con lui il milione di giovani presenti al loro Giubileo) ha annunciato che “Buon Dio” è tornato. Non è scappato, non si è nascosto: vive, silenzioso e luminoso, nell’intimità di ciascuno, lasciandoci tutte le nostre responsabilità. Vive soprattutto nelle inquietudini dei giovani e di chi, anche da adulto, continua a cercare la verità e custodisce la scintilla dell’umano. A questo “Buon Dio” papa Leone ha dato un nome preciso, che dà senso ai moti dell’anima e al desiderio profondo che abita il cuore umano: Gesù Cristo.
Due verità restano ineludibili: non siamo al mondo per nostra scelta, siamo frutto di una relazione. A tal punto che siamo noi stessi relazione: viviamo, cambiamo e ci compiamo solo attraverso l’incontro con l’altro. In quella relazione autentica troviamo pace, perché solo nella relazione si può fare esperienza dell’amore. Leone XIV non ha espresso un annuncio emozionale, pensato per una massa giovanile in festa. È stata una proposta esigente e penetrante, posta al cuore della cultura contemporanea: ritrovare il senso del legame, proprio in un tempo in cui viviamo perennemente connessi, ma disimparando la grammatica delle relazioni. Perché la deriva dei nostri giorni ci porta a slegarci per timore di perdere la libertà. Ma se ci si slega, per essere liberi, si resta soli. Anzi, isolati. Connessi, sì, ma spersonalizzati, immersi in un magma indistinto di emozioni ibride e manipolabili, perfetto combustibile per le propagande di chi stabilisce l’“ordine del giorno” per tutti noi.
Papa Leone ha dettato l’ordine del giorno con parole di fuoco: «La verità è un legame che unisce le parole alle cose, i nomi ai volti. La menzogna, invece, li separa, generando confusione. E spezza le nostre relazioni in mille intermittenze». In questa guerra sfumata, perché difficilmente definibile e rintracciabile, che rende risibile ogni confine, per certi paradossalmente più subdola delle radiazioni di Hiroshima, la verità diventa un’urgenza radicale. Penetrante e corrosiva, questa nuova forma della guerra ci giunge dal cellulare, passa dal bancomat o dal più banale prodotto acquistato, e ci fa ritrovare inconsapevoli e collusi in nuovi scenari: ricatti commerciali, emozioni infondate per la disinformazione scientifica sul web, finanza apparentemente neutra ma in realtà non etica, droni indistintamente usati per fotografare o bombardare, intelligenza artificiale che decide a chi sparare e a chi no. Poi, da Tor Vergata, ecco la speranza: ciascuno può invertire la rotta, ciascuno può fare obiezione di coscienza, perché «solo relazioni sincere e legami stabili fanno crescere storie di vita buona». E queste tutti possiamo costruirle.
Nel Parco della Pace di Hiroshima oggi la campana continua a suonare. Ma – ci ricorda di fatto il Papa – se non trova risonanza nella vita interiore delle persone, le sue vibrazioni si perdono nel vuoto. La Parola di Dio, riproposta da Leone ai giovani e al mondo come lama tagliente, discerne, in puntuale continuità con tutti i suoi predecessori: «Mai più la guerra!». Ma per non correre il rischio di una ripetizione che ne sbiadisca la forza, svela la differenza tra il desiderio che cerca e il desiderio che possiede. Il primo è umile e incontra l’altro con rispetto; il secondo è arrogante, vorace, desertifica l’anima e il mondo. «Non allarmiamoci se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!». E, ancorandosi alla santità di Pier Giorgio Frassati, consegna una bussola per i tempi presenti: «Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità non è vivere, ma vivacchiare». Vivere non per dominare, ma per servire. Per non subire i pulviscoli velenosi – radioattivi allora, o dell’indifferenza oggi – e rimanere umani.
Anche, e soprattutto, nell’epoca della guerra sfumata. «Ognuno – ci ha ricordato ancora papa Leone – è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre, a un decollo senza il quale non c’è volo». Per fare obiezione di coscienza in quel volo della morte totale di 80 anni fa o sui fronti della guerra “tradizionale” bisognava e bisogna essere eroi. Per essere obiettori nel tempo della guerra sfumata c’è da essere semplicemente inquieti.
Anche, e soprattutto, nell’epoca della guerra sfumata. «Ognuno – ci ha ricordato ancora papa Leone – è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre, a un decollo senza il quale non c’è volo». Per fare obiezione di coscienza in quel volo della morte totale di 80 anni fa o sui fronti della guerra “tradizionale” bisognava e bisogna essere eroi. Per essere obiettori nel tempo della guerra sfumata c’è da essere semplicemente inquieti.
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