Dagli Usa all'Europa, intorno alla stampa tira una brutta aria
Il caso Ranucci è l'ennesimo segnale di un clima pesante per i giornalisti, tra giri di vite e delegittimazioni in tutto il mondo. Basta guardare all'America, dove i reporter "scappano" dal Pentagono

«Per poter essere protagonisti i cittadini devono essere informati». In questo passaggio del breve discorso che il presidente Sergio Mattarella ha pronunciato giovedì agli 80 anni della Fao c’è il motivo semplice e brutale per cui la stampa e gli attentati alla sua libertà non sono un problema solo per addetti ai lavori o appassionati alla causa. Ed è per questo che l’aria più pesante che si respira in tutto il globo e certo non solo in Italia deve preoccupare tutti, ma proprio tutti. Al di là delle idee che si hanno e dei giornali o telegiornali preferiti.
La progressiva limitazione degli spazi di manovra per i giornalisti che osano muoversi o fare domande al di fuori di schemi o situazioni concordate in precedenza è sotto gli occhi di tutti. A Gaza l’assenza di giornalisti stranieri ha impoverito e polarizzato il racconto di due anni di guerra, e chi ha sfidato i divieti ha pagato con la vita:_oltre 200 i reporter uccisi dal 7 ottobre 2023 a oggi. Da quando l’inquilino è tornato a essere Donald Trump, alla Casa Bianca lo studio ovale si è progressivamente trasformato in un set cinematografico in cui i giornalisti somigliano più a spettatori, rigorosamente selezionati, che a cani da guardia del potere. Erano i temuti, almeno una volta, “watchdog” di cui la stampa americana è sempre stata una fucina.

Il processo di progressiva marginalizzazione e delegittimazione pare inarrestabile, e proprio in questi giorni vive negli Stati Uniti un passaggio ormai quasi più grottesco che aberrante. Di mezzo non c’è la Casa Bianca ma il Pentagono, non Donald Trump in persona ma il suo Segretario alla Difesa, Pete Hegseth: il 15 settembre ha diramato un promemoria destinato a limitare pesantemente la libertà di movimento della stampa dentro al “palazzo”, d’ora in avanti obbligata a firmare l’impegno a non raccogliere informazioni che non siano state preventivamente autorizzate dal ministero. Un giro di vite senza precedenti che ha scatenato la protesta di quasi tutti i giornalisti accreditati e relative testate, compresa quella di Fox News - storicamente vicino a Trump e dove lo stesso Hegseth ha lavorato come conduttore fino al 2024. In settimana sono circolate le immagini dei giornalisti uscire in processione dal Pentagono con tanto di scatoloni, ma salvo una prima indignazione di massa è difficile che restino impresse nella memoria dei più come quelle assai simili del settembre 2008 con gli impiegati licenziati in tronco dopo il fallimento Lehman Brothers.
L’Italia non è immune da tutto questo, anzi. In attesa di saperne di più su chi e perché, l’attentato della notte a Sigfrido Ranucci si inserisce in un quadro in deterioramento che nell’ultima classifica della libertà di stampa stilata da Reporters sans Frontières ci vede scivolati al 49esimo posto al mondo. Ma l’Italia è morosa anche nel recepimento del regolamento europeo sul tema (il Media Freedom Act). In teoria un traguardo fondamentale negli sforzi per salvaguardare il pluralismo e l’indipendenza dei media in tutta l’Unione Europea, che è entrato in vigore l’8 agosto scorso con le sue norme relative ai divieti di spionaggio o al servizio pubblico, ad esempio, ma che l’Italia esita a far proprio. Con il rischio di subire il danno oltre alla beffa, visto che l’Ue potrebbe aprire in tempi rapidi una procedura di infrazione a causa delle inadempienze del nostro Paese.
Il problema è che oggi a relegare la stampa in un angolo non ci sono solo i giri di vite imposti dal potere o le costanti delegittimazioni. Ci sono anche le crescenti interferenze tecnologiche che inquinano l’ecosistema dell’informazione digitale, manipolano le opinioni, brutalizzano i contraddittori. Un po’ causa è un po’ effetto di tutto questo è una specie di corsa al ribasso di domanda e offerta d’informazione, una corsa in cui l’una finisce per spingere l’altra e il prezzo lo pagano tutti: giornalisti sempre più provati, editori sempre più spiazzati, un pubblico sempre meno onorato con un servizio all’altezza dei valori che ci stanno dietro. «La conoscenza - ha rimarcato ancora Mattarella - rimane il primo motore per stimolare un maggiore impegno, orientando le energie, soprattutto delle nuove generazioni, per raccogliere le sfide e rendere possibile la costruzione di un futuro più equo». L’informazione è il primo passo per la partecipazione: senza di quello si va davvero poco lontano. Tutti.
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