Alberi e giardini che cambiano le città e fanno «guarire»

Ricerche scientifiche indicano come la presenza di piante e ambienti naturali renda più celere la ripresa post-operatoria e faccia ridurre il ricorso ai farmaci. Anche la criminalità può diminuire
November 30, 2018
Alberi e giardini che cambiano le città e fanno «guarire»
Giardino pensile terapeutico in ospedale
Per il neurobiologo Stefano Mancuso le piante sono «cittadine di seconda classe nella repubblica della Terra». La cronaca recente ha fornito molte prove a sostegno di questa tesi esposta in un saggio di qualche anno fa, «Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale» (Mancuso e Viola, Giunti), nel quale il concetto di 'coscienza vegetale' aiuta a scorgere l’assenza di diritti attribuiti all’universo verde. Nel 2018 nel nostro Paese, nelle foreste come nelle città, si sono persi milioni di alberi, a causa di eventi climatici eccezionali e di una diffusa e colpevole latitanza di 'visioni' e azioni in tema di cura e progettazione del verde pubblico. Una mancanza di attenzione che ha trascinato con sé tante creature umane, e non solo, scavando una profonda frattura in quella 'tuttunità' così cara all’artista gesuita Marco Rupnik. Non tutto è perduto: grazie alla scienza, alla filosofia e alle molte intelligenze istituzionali e del vasto mondo del volontariato, qualcosa tuttavia si muove.
Un’occasione per andare più a fondo nella relazione uomo-natura è rappresentata dagli Stati generali del Verde pubblico (formato da Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio e del mare, Ispra), che prevedono sedi di discussione a Napoli, Roma, Padova e Venezia, e i cui lavori hanno preso il via dal testo della Legge n. 10 del 2013 che ha posto la questione del 'verde' al centro delle politiche di sostenibilità locale. Tra gli aspetti interessanti da considerare, il fatto che il dibattito accoglie diverse esperienze dal basso, perché oggi si registra un nuovo fermento. Come l’Associazione campana 'Gli Incisivi', che nel 2016 ha vinto il premio 'Green Care' grazie a un progetto che ha visto alcuni cittadini di Ponticelli – zona a Est di Napoli nota per episodi di cronaca nera – prendersi carico del verde del loro quartiere per curarlo e restituirlo a tutti. O l’Associazione romana Amici di Villa Leopardi, creata dagli habitué della zona, i quali, disgustati dallo stato di degrado e abbandono in cui versava la struttura e il verde circostante, si sono rivolti alle Istituzioni perché potessero 'adottarla'. Non solo: in collaborazione con Caritas e Municipio, è stato poi firmato un protocollo per avviare un progetto di integrazione dedicato a giovani migranti.
Dell’importanza di querce, abeti e platani – o meglio della necessità dell’uomo di esserne circondato – i cittadini sono ben consapevoli. Il verde ha un’innegabile funzione rigeneratrice per l’anima e il corpo. «L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a sé stessa...», si legge nella Laudato si’ (86). L’ode francescana, che invita a far propria la necessità di prendersi cura dell’ambiente, aiuta a interpretare meglio quanto anche molta ricerca scientifica indica circa la rilevanza del mondo vegetale, non solo per una buona vita individuale, ma anche ai fini del benessere collettivo in termini di effetti mitigatori e distensivi dello stress, delle tensioni e di molte alterazioni che agiscono a livello neurologico. Una ricerca condotta a Philadelphia e Chicago ha rilevato come a un aumento della copertura arborea del 10% è corrisposta una diminuzione del 12% del numero di reati.
Il coronamento dell’evidenza scientifica sugli effetti benefici del verde giunge dalle ricerche condotte negli ultimi 30 anni sui cosiddetti healing gardens, i giardini costruiti all’interno di case di cura, ospedali, cliniche o centri riabilitativi. Pioniera di questi studi, fin dai primi anni 80, è stata l’architetta paesaggista Clare Cooper Marcus, della Berkeley University, poi seguita dall’allieva Roger Ulrich, del Centro per la ricerca sull’edilizia sanitaria della Chalmers University of Tecnology di Stoccolma. Già consulente del Servizio sanitario inglese per la creazione di decine di ospedali, quest’ultima ha pubblicato i risultati di uno studio su alcuni pazienti in Pennsylvania che erano ricoverati per colecistectomia. Escludendo i casi che avevano sviluppato complicazioni o che erano affetti da disturbi psicologici, il campione è stato suddiviso in più coppie, ognuna composta da soggetti omogenei per età, sesso, peso e condizioni generali di salute, ma degenti in stanze affacciate su lati opposti: alcune con vista su un gruppo di alberi, altre fronte muro. Ebbene, si è visto che i pazienti che potevano godersi il verde avevano un’ospedalizzazione in media più breve rispetto a quelli con 'vista muro' (7,9 giorni contro 8,7), i quali oltretutto richiedevano l’assunzione di più, e più forti, analgesici e una maggior somministrazione di farmaci.
Da allora le ricerche su questo fronte si sono moltiplicate, e così anche i giardini curativi di cliniche e ospedali, sulla scia del modello più avanzato al mondo: il Mount Elizabeth Hospital di Singapore. Qui il parco penetra, anche verticalmente, negli ambienti chirurgici operativi, mentre i giardini pensili, con tanto di orti sociali collocati sui tetti dei padiglioni, oltre ad essere fruibili dai pazienti sono stati 'convertiti' in autentici parchi pubblici, con gli abitanti del quartiere che possono recarsi a spendere il loro tempo libero a fianco dei pazienti. In altre parole, i vantaggi sono molteplici e distribuiti su un’intera comunità: si recupera lo spazio verde generando un’oasi condivisa da bambini, anziani, degenti e familiari, nella quale sbocciano forme di volontariato, e dove un intero quartiere finisce per raccogliersi attorno a un nuovo bene collettivo.
L'Italia non sta a guardare, come dimostra ad esempio l’impegno della Fondazione Universitaria Policlinico Gemelli di Roma, dove dallo scorso giugno un giardino pensile è stato messo al servizio delle pazienti oncologiche dei percorsi clinico-assistenziali del Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino. Progettare verde negli spazi di cura «rappresenta una risposta efficace ai bisogni di socialità nei luoghi di recupero e riposo – spiega Monica Botta, architetto paesaggista, progettista di giardini terapeutici – soprattutto laddove l’edilizia ospedaliera italiana non si accompagna a standard costruttivi che abbinino alle strutture di degenza spazi esterni verdi». È con questo spirito che sono state progettate la Casa di riposo Molina a Varese per malati di Alzhemeir e la Don Guanella a Barza di Ispra.
Anche la questione del contatto con i cosiddetti alberi monumentali o 'veterani', che una recente legge nazionale ha censito e di cui prevede la tutela esplicita, non è da sottovalutare ai fini del benessere che produce per l’equilibrio psichico di una persona. «Oggi finalmente ci si sta rendendo conto dell’unicità degli alberi monumentali, come prova la recente Carta di Siena, che ha sancito, nero su bianco, il diritto di questi nostri silenti testimoni del passato e compagni di vita ad essere pienamente salvaguardati», afferma uno dei massimi esperti internazionali dei nostri antichi 'patriarchi' verdi, Daniele Zanzi. Non solo un albero, dunque, ma quell’Albero in particolare: parte generosa e altruista della natura. Un valore senza età, che non subisce l’usura del tempo. Come testimoniano le parole della madre dell’healing gardens, Clare Cooper Marcus: «Quando mi diagnosticarono un cancro, mi feci curare presso il Centro californiano Kaiser di Walnut Creek, dove in mezzo a un grande spazio verde svettano 3 antiche querce di 150 anni, protette dalla legge. Questa è diventata un’oasi per me, doppiamente importante: io paesaggista, io con una malattia mortale». Clare è ancora qui, con noi. E le querce.

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