A Gaza una bambina di nome speranza

I piccoli di Gaza esultanti per le strade, la felicità esplosa in Piazza degli Ostaggi: la fine della guerra e il volto della vita
October 11, 2025
A Gaza una bambina di nome speranza
«La Speranza, dice Dio, mi stupisce. Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina. Che vedano come vanno le cose oggi e che credano che andrà meglio domattina. Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia della nostra grazia. E io stesso ne sono stupito».
Questi versi di Charles Péguy mi sono venuti in mente nel vedere l’altra sera la festa a Gaza, e in Israele. Guardando i bambini di Gaza felici, esultanti per le strade, liberi per una notte di correre, dopo due anni di notti sotto le bombe. Bambini di pochi anni che già hanno visto tutto, la paura e la morte; che sono orfani o hanno perduto i loro fratelli, o hanno, e da molto tempo, fame. Eppure, incredibile, alla notizia della fine della guerra ‒ preghiamo che sia vero ‒ su tutta la sofferenza impressa in due anni un bambino a Gaza prevale qualcosa di più forte: la speranza. Nonostante ogni lutto e ogni miseria, la speranza che «andrà meglio domattina», come dice il Dio di Péguy, ne “Il portico del mistero della seconda virtù”, è più forte di ogni dolore, negli uomini.
E' una radice nascosta che può sembrare esausta: eppure una goccia d’acqua la fa rinverdire. Ne sono morti, atroce ricordarlo, di bambini identici a quelli delle foto da Gaza, a decine di migliaia. Un massacro di innocenti. (Nel cuore delle madri ogni particolare del loro viso è scolpito). Eppure anche le giovani madri a Gaza, le facce precocemente segnate dalle rughe, l’altra sera gioivano: perché i figli rimasti forse avranno da mangiare, andranno a scuola. Vivranno.
Anche di più mi ha colpito la felicità esplosa nella Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv. Una gioia corale: anche se solo 26 forse, dei rapiti del 7 ottobre, torneranno vivi. Eppure non solo i parenti dei vivi erano a cantare in quella piazza, l’altra notte. Quel pezzo di Israele che per due anni, da quella notte d’inferno, ha sofferto insieme, si è legato talmente che riesce a rallegrarsi del ritorno dei vivi, anche se i propri figli o mariti non torneranno. Tanto hanno vissuto e pianto assieme in quella piazza, che il ritorno dei pochi sopravvissuti, e anche dei morti, sembra riguardare tutti. E giovani e nonni, e madri che questi due anni hanno invecchiato come ne fossero passati venti, l’altra notte a Tel Aviv sembravano liberati da un incubo. Cantavano, sorridevano: dunque speravano. Di poter tornare a vivere, ad amare chi è rimasto, o a piangere finalmente su una tomba. Che la terra come una madre riaccolga nel suo grembo chi è morto, è importante. Non è disperso, quel corpo così caro. Ha una sua casa, una pace infine.
Tuttavia, per me che guardavo da lontano, da un benedetto Paese in pace, che quei bambini a Gaza e ancora più quegli adulti a Tel Aviv l’altra notte esultassero, restava quasi incredibile. Riuscite ancora a ridere, riuscite ancora a cantare? mi dicevo. Dopo tanto dolore, sperate ancora?
«Che quei poveri figli credano che andrà meglio domattina»: proprio come dice il Dio di Péguy , egli stesso meravigliato. La Fede, dice il Dio di Péguy, non lo meraviglia: «Risplendo talmente nella mia creazione»… La Carità nemmeno, lo stupisce: «Per non amare il prossimo, bambina, bisognerebbe tapparsi gli occhi e gli orecchi. A tante grida di desolazione...».
La Speranza, invece, secondo il grande poeta cristiano sbalordisce perfino Dio: «E bisogna che la mia grazia sia in effetti di una forza incredibile. E che sgorghi da una fonte e come un fiume inesauribile. Da quella prima volta che sgorgò e da sempre che sgorga».
Guardi i bambini di Gaza che fanno festa, e pensi che deve essere vero. C’è in noi uomini una radice tenace, un amore ostinato alla vita. Per cui ogni volta si osa ricominciare. Trascinati da quella che Péguy chiama “bambina”: «La Speranza è una bambina da nulla…. Eppure è questa bambina che traverserà i mondi. Questa bambina da nulla. Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti».

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