giovedì 24 novembre 2022
Nel solo 2021 il Terzo settore ha ricercato 241mila lavoratori.Tra le figure più richiese gli operatori socio-sanitari, gli addetti all’assistenza personale e le professioni sanitarie infermieristich
Le imprese sociali sono poco più dell'1,2% del totale delle aziende

Le imprese sociali sono poco più dell'1,2% del totale delle aziende - Imagoeconomica

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In Italia sono circa 17mila le imprese sociali attive e con dipendenti iscritte alla “sezione speciale” del Registro delle imprese. Sono poco più dell’1,2% del totale delle aziende, ma attivano oltre il 5% della domanda di lavoro rilevata dal Sistema Informativo Excelsior e sono un settore importante e in crescita nell’economia italiana. Nel 2021 hanno ricercato oltre 241mila lavoratori, pari al 5,2% della domanda di lavoro complessiva dei settori industria e servizi. Il 25% di esse ha più di 50 dipendenti e impiegano mediamente 35 dipendenti. «Anzitutto direi che quello delle imprese sociali è un mondo in rapido cambiamento – spiega Claudio Gagliardi, vice segretario generale di Unioncamere – perché nell’ultimo quinquennio il numero dei soggetti è aumentato mediamente di oltre il 4% ogni anno. Si vanno affermando nuovi modelli imprenditoriali che favoriscono anche la presenza delle imprese sociali in un maggior numero di ambiti di attività di interesse generale, quali per esempio la formazione, la promozione turistica, la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali, la valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, le attività ricreative». In effetti anche la pandemia ha dato una forte accelerazione al cambiamento delle imprese sociali, che già avevano una presenza significativa nel nostro Paese. «Nei due anni di Covid – precisa Tiziano Treu, presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – abbiamo constatato il ruolo fondamentale e strategico di queste imprese. Senza il loro supporto lo Stato da solo non sarebbe riuscito ad affrontare l’emergenza sanitaria e soprattutto quella sociale che ne è scaturita. Uno dei cambiamenti attesi più importanti è la digitalizzazione. Molti servizi saranno sempre più informatizzati e anche questa imprese devono adeguarsi».

In Europa l’economia sociale conta più di 2,8 milioni di organizzazioni che occupano più di 13,6 milioni di lavoratori, pari al 6,3% della popolazione in età da lavoro nei 28 Paesi dell’Unione Europea. Secondo l’ultimo rapporto Istat sull’economia sociale, questo comparto conta circa 380mila organizzazioni con un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di euro, 1,52 milioni di addetti (di cui 1,49 dipendenti) e più di 5,5 milioni di volontari. «C’è un mercato emergente di servizi sociali – avverte Treu – che deriva da una situazione molto critica sui territori, come emerso dal nostro Rapporto sui servizi sociali territoriali; le imprese sociali devono farsi trovare pronte per far fronte a questi bisogni». Tuttavia nel 2019 la spesa per i servizi sociali in Italia è stata pari allo 0,42% del Pil, arrivando a 0,7% con le com-partecipazioni degli utenti e del Ssn (Servizio sanitario nazionale). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media).

Per sostenere un cambio di passo, le imprese sociali sono alla ricerca di personale qualificato. Tra le figure professionali maggiormente richieste, si segnalano gli operatori socio-sanitari (43.510 profili), gli addetti all’assistenza personale (34.860 profili), le professioni sanitarie riabilitative (26.510) e le professioni sanitarie infermieristiche (22.320). Quattro profili richiesti su dieci riguardano laureati e professioni a elevata specializzazione: oltre 87mila laureati, pari al 36,2% del totale assunzioni previste, 104mila diplomati (42,9% del totale profili ricercati) e circa 23mila profili con qualifica di formazione o diploma professionale (9,4%). A questi si aggiungono 27mila profili professionali per la cui selezione le imprese sociali non hanno espresso preferenze circa il titolo di studio (11,2%). I fabbisogni formativi delle imprese sociali sono quindi caratterizzati da elevati livelli di istruzione. Per circa otto profili su dieci ricercati, è richiesta una formazione terziaria o il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, oltre a competenze ‘verdi’ (75,9%) e digitali (62,5%). Particolarmente elevata è la domanda di personale immigrato da parte delle imprese sociali: riguarda il 19,0% del totale assunzioni previste, valore di circa 5 punti percentuali superiore rispetto alle altre imprese. Decisamente superiore alla media delle altre imprese si presenta anche la previsione di assunzioni riferita al genere femminile, attestandosi al 25,5% del totale entrate contro il 18,3% dichiarato dalle altre imprese.

«L’elevata qualità della domanda di lavoro espressa dalle imprese sociali trova conferma nella maggiore richiesta di competenze – aggiunge Gagliardi –. Tra le competenze specifiche maggiormente richieste ai profili professionali in ingresso sono particolarmente ricercate quelle trasversali: flessibilità, capacità di lavorare in gruppo, attitudine al problem solving e autonomia sono richieste dalle imprese sociali in misura più elevata rispetto alle altre imprese. Questo perché le soft skill sono determinanti per sviluppare relazioni e vicinanza ai bisogni delle persone. Sta gradualmente crescendo anche l’investimento nella digitalizzazione dei processi organizzativi e produttivi. Inoltre, pur partendo da posizioni meno avanzate rispetto al resto delle imprese, stanno accelerando sul fronte degli investimenti green, per il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale, per cui aumentano anche le richieste di competenze specifiche su questi aspetti. Infine, dobbiamo porre attenzione al fatto che i modelli organizzativi delle imprese sociali sono sempre più complessi». Partendo dai dati sulla difficoltà di reperimento del personale, le imprese sociali si trovano ad affrontare sfide molto impegnative, anzitutto perché devono attrarre collaboratori spesso altamente qualificati in un segmento del mercato del lavoro fortemente competitivo e poi perché sono caratterizzate da un elevato ricambio occupazionale. « Lavorare nelle imprese sociali – chiarisce il vicesegretario generale di Unioncamere – significa soprattutto fare scelte basate sulle motivazioni personali e sui valori della partecipazione e della solidarietà. Affrontare il problema del mismatch per le imprese sociali significa puntare sull’attrattività di un ambiente di lavoro sano e positivo, dove il significato dell’attività lavorativa è centrale e dove sono valorizzate al meglio le relazioni, la flessibilità organizzativa e la conciliazione dei tempi vita/lavoro. Un ambiente di lavoro attrattivo significa per le imprese sociali anche impegnarsi a costruire importanti percorsi di crescita professionale e adeguate opportunità di formazione. Inoltre, serve puntare sull’alleanza con le scuole e le università, per ospitare giovani in stage o tirocinio, perché è spesso l’occasione per i giovani di conoscere meglio, tramite esperienze dirette di Terzo settore, il valore del lavoro nel sociale secondo la logica della sussidiarietà e del bene comune».

A livello territoriale, le regioni dove le imprese sociali hanno programmato il maggior numero di entrate sono la Lombardia, con quasi 42mila unità, l’Emilia-Romagna con poco meno di 22mila unità, Sicilia e Piemonte con circa 19mila unità e infine Lazio e Veneto con poco più di 18mila unità. «Le competenze più richieste – conclude Treu - sono senza dubbio quelle digitali, prioritariamente, ma anche quelle legate ai servizi alla persona. Nei prossimi anni la formazione giocherà un ruolo importante nel consolidamento dell’economia sociale. Per ridurre il disallineamento domanda- offerta bisogna puntare a creare rapporti con le Università, le scuole e le organizzazioni di categoria, ma anche ripensare i percorsi formativi, per adeguarli ai nuovi compiti richiesti dalla futura economia».

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