
Non sono tempi facili per la finanza sostenibile, più in generale per la sostenibilità, la transizione ecologica e la lotta alla crisi climatica. Impetuosi venti contrari a tutto ciò che ha anche un vago sapore di sostenibilità in finanza soffiano dalla nuova amministrazione Usa. E qualcosa di simile potrebbe prendere forma anche in Europa, dietro le sembianze dell’annunciata ”semplificazione” di norme e regole sulla sostenibilità – innescata dai mutati equilibri politici derivati dalle ultime elezioni europee – che molti temono possa celare deregolamentazioni e laceranti dietro front. Cosa fare per mantenere le posizioni faticosamente conquistate in decenni, che avevano portato principi e criteri di sostenibilità ad affermarsi finalmente nel mondo degli investimenti?
Sia chiaro, i problemi non mancavano già prima: greenwashing, mancanza di omogeneità dei dati Esg (ambientali, sociali e di governance), divergenza nei rating Esg, emorragia di adesioni alle iniziative per la finanza “net zero”, e via discorrendo. Ma una cosa è ammettere le criticità e affrontarle, se serve anche con pragmatismo. Altro è spingere per buttare il proverbiale bambino con l’acqua sporca, col nemmeno troppo tacito intento di liberare di nuovo gli “spiriti animali” di quel capitalismo neoliberista, finanziarizzato e iper-estrattivista, che ci ha portato sull’orlo del precipizio finanziario, ecologico e climatico. Le sfide per la finanza sostenibile in questo 2025 sono state al centro di un incontro organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile (FFS). Nato nel 2001, e dal 2012 organizzatore delle Settimane Sri, principale appuntamento nazionale di settore, coi suoi 173 soci Ffs è la voce della finanza sostenibile in Italia. Il direttore, Francesco Bicciato, e Alessandro Asmundo, senior Policy officer, illustrano la rotta da tenere per attraversare le acque tempestose di questi tempi.
«In un periodo – sostiene il Forum – di notevole confusione a livello geopolitico e geoeconomico, sui temi che frequentiamo ormai da un quarto di secolo vogliamo mantenere un approccio positivo, ancorato a un’idea centrale: sottolineare il ruolo della finanza a supporto dello sviluppo sostenibile. Significa insistere sul fatto che alcuni pilastri dello sviluppo sostenibile, dal sostegno alle rinnovabili alla mobilità sostenibile, all’agricoltura di qualità, devono continuare a essere promossi». Del resto le ricerche presentate alle Settimane Sri 2024 parlavano chiaro: in Italia la propensione di investitori retail e istituzionali (fondi pensione, assicurazioni, fondazioni bancarie) è per un incremento degli investimenti sostenibili. «In particolare fra gli investitori istituzionali – sottolinea ancora il Forum Ffs – è chiara l’intenzione di non arretrare sulla sostenibilità. Il che è in controtendenza rispetto al dibattito, a tratti anche molto aspro, che esiste su questi temi».
Sebbene i messaggi più aspri arrivino dagli Usa, c’è timore anche per la strada che potrebbe prendere l’Europa con il pacchetto normativo Omnibus, in cui la Commissione Ue ha annunciato la revisione di normative su sostenibilità e finanza sostenibile. «Si sono sovrapposte molte voci – spiega ancora il Forum – che hanno creato incertezza: sono a rischio parti di quell’architettura normativa che sta iniziando a dispiegare i suoi effetti positivi. Traspare anche una certa fretta di intervenire in pochi mesi su un framework normativo sviluppato nel corso di anni. Stando alle dichiarazioni pubbliche, comunque, i principali obiettivi di sostenibilità verrebbero confermati, per cui restiamo fiduciosi. Siamo d’accordo sulla necessità di perfezionare e armonizzare il corpus normativo, allineando requisiti e definizioni, ma non vanno rimesse in discussione le fondamenta».
È quello che chiede anche un appello lanciato alla Commissione Ue da Eurosif (il forum dei forum nazionali europei della finanza sostenibile), Pri (i Principi per l’investimento responsabile promossi dall’Onu) e IIGCC (Institutional Investors Group on Climate Change): preservare l’integrità e l’ambizione del quadro normativo sulla finanza sostenibile, altrimenti si creerà un’incertezza giuridica che metterà a repentaglio gli investimenti e la competitività economica di lungo periodo dell’Europa. La quale resta il principale mercato mondiale per la finanza sostenibile, col 58% dei patrimoni in gestione secondo criteri sostenibili. Un’altra insidia arriva da chi, sfruttando il momento e cavalcando la narrazione bellicista imperante, vuole infilare fra i settori potenzialmente oggetto di investimenti sostenibili anche armamenti e difesa. Che invece storicamente, specie quando si parlava di finanza etica prim’ancora che sostenibile, sono sempre stati esclusi, al pari ad esempio di gioco d’azzardo, alcol, tabacco, pornografia. «Riteniamo importante, in primo luogo – ribadisce il Forum per la finanza sostenibile –, sottolineare la nostra contrarietà agli investimenti in armi non convenzionali, che peraltro sono oggi illegali. Il discorso è diverso per gli investimenti in armi convenzionali: questi ultimi sono sì leciti, ma non crediamo possano essere considerati sostenibili, perché non hanno le caratteristiche per generare impatti ambientali e sociali positivi e non sono dunque focalizzati sulla ricerca di una piena sostenibilità».
Poi ci sono le sfide di sempre, per la finanza sostenibile, che in questo periodo ovviamente hanno ripreso quota. Arrivano da coloro che mantengono imperterriti i loro pregiudizi verso questo approccio agli investimenti. Non a caso il Ffs già alle Settimane Sri 2023 aveva pubblicato il paper “La finanza sostenibile oltre i pregiudizi”, aggiornato a fine 2024, che smontava i pregiudizi a uno a uno a suon di evidenze: «Non pensavamo di doverlo fare – evidenzia il Ffs –, ma di fronte a critiche non fondate su criteri science-based, abbiamo risposto. Ad esempio, i costi della finanza sostenibile, secondo i dati del 2024 di Esma (l’authority europea dei mercati finanziari, ndr), sono minori di quella non sostenibile. Ed è ampiamente dimostrato che nel medio-lungo termine i rendimenti degli investimenti sostenibili sono allineati, se non superiori, a quelli della finanza tradizionale».
Ogni volta che si ragiona di competitività, infine, c’è sempre qualcuno che se ne esce affermando apoditticamente che sostenibilità e competitività sarebbero in contrapposizione, in finanza e non solo. Al riguardo la posizione del Ffs è netta: «Sono le evidenze empiriche a dirci che la finanza sostenibile è competitiva. Perché investire in soluzioni green, nel welfare, in generale nello sviluppo sostenibile, conviene anche dal punto di vista economico: in termini di posti di lavoro, innovazione dei modi di produzione, erogazione di servizi. Per cui la corsa con Stati Uniti e Cina non va fatta alla vecchia maniera, ma sul terreno appunto della sostenibilità: la transizione non va fermata, va accelerata. Anche perché, e su questo si riflette poco, i costi dell’inazione sarebbero molto maggiori. Di fronte soprattutto a emergenze come quella climatica, con il 2024 che è stato l’anno più caldo mai registrato, fermarsi non è un’opzione».