venerdì 12 novembre 2021
I risultati dell’indagine dell’Inapp presentati oggi nel corso di un webinar con il ministero del Lavoro, il Forum nazionale del Terzo settore, le Università e il Cisis
Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp

Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp - Archivio

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«Le organizzazioni non profit hanno subito un duro colpo nell’anno nero della pandemia, ma nonostante questo hanno reagito e continuato a offrire assistenza nel campo sociale, impegnandosi in progetti di sostegno ai più bisognosi». Lo afferma Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp-Istituto nazionale delle politiche pubbliche, commentando i risultati di un’indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit presentata oggi nel corso di un webinar che ha coinvolto attori istituzionali ed esperti del settore: dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al Forum nazionale del Terzo settore, dalle Università al Cisis allo stesso Inapp.

Per i servizi sociali, infatti, la pandemia ha costituito «un passaggio difficile e faticoso che ha messo a dura prova il sistema già indebolito da una lunga stagione di disinvestimenti finanziari che lo hanno spogliato di buona parte della sua capacità d’intervento sul territorio». In particolare, durante l’emergenza sanitaria il 31,2% degli enti ha ricorso alla cassa integrazione (a fronte del 41,8% delle imprese profit), alla riduzione dell’orario di lavoro (19,9%) e all’obbligo di ferie (10,2%), tutti strumenti finalizzati a una diminuzione temporanea del costo del lavoro. Non risulta rosea neanche la questione occupazionale: le collaborazioni e il lavoro a tempo determinato nel terzo settore hanno subito in negativo la pandemia da Covid-19: il 7,6% degli enti indica infatti di aver ridotto queste forme contrattuali, mentre l’1,3% ha licenziato personale - pratica che, in considerazione dei divieti, è presumibile sia avvenuta in forma individuale e per motivi non economici. Nonostante questo quadro negativo i servizi sociali hanno provato a reggere l’onda d’urto dell’emergenza cercando di non far venire meno la natura mutualistica e di soccorso che è propria del Terzo settore.

L’indagine di tipo campionario ha avuto come riferimento 63.898 enti non profit appartenenti ai settori Istruzione e ricerca, Sanità, Assistenza sociale e Protezione civile e Sviluppo economico e coesione sociale e ha coinvolto 9.519 soggetti.

«Il non profit - spiega Fadda - è stato una sorta di anticorpo rispetto agli effetti nefasti del coronavirus continuando a giocare un ruolo importante nella tenuta delle relazioni sociali, costituendo un mezzo effettivo di resilienza sociale, di fronte al lockdown e al distanziamento sociale. Per questo il mondo del volontariato andrebbe valorizzato e sostenuto, come si prova a fare anche con il Pnrr perché può essere un settore fondamentale per la crescita e la ripresa del Paese».

Nell’indagine si è registrata la diminuzione delle entrate nel mondo non profit al pari di quanto avvenuto nel mondo profit con il calo del fatturato. Se la Cig ha sorretto l’occupazione e il circuito della solidarietà, anche a scarto ridotto, ha agevolato l’operatività dei servizi, l’ambito economico (proventi ed entrate) è rimasto fortemente segnato: dall’inattività di alcuni segmenti (per esempio i Centri Diurni); dall’impossibilità di effettuare campagne di raccolta fondi e, non da ultimo, dall’aumento del costo medio delle prestazioni dovuto all’assenza del lavoro volontario. Una molteplicità di fonti di finanziarie, pubbliche e private, comunitarie, nazionali e locali (tra cui molti avvisi banditi a valere sui Por regionali e sul Pon Inclusione) si sono rese disponibili per fronteggiare le difficoltà economiche dei fornitori di servizi sociali.

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