giovedì 8 febbraio 2024
Cambia radicalmente l'offerta commerciale: meno distributori di benzina, librerie e negozi di mobili è boom di strutture ricettive, farmacie e negozi di tecnologia. Il Nord-Est l'area più penalizzata
Un negozio su cinque ha chiuso dal 2012 ad oggi

Un negozio su cinque ha chiuso dal 2012 ad oggi - Ansa

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Le librerie, i negozi di mobili e di abbigliamento fanno posto sempre più spesso a farmacie, negozi di telefonia e computer e soprattutto strutture ricettive alternative agli alberghi. In dieci anni è cambiato il volto delle attività commerciali all'interno dei centri abitati. Un quinto dei negozi ha abbassato la saracinesca per sempre, per far posto ad un'attività di tipo differente. Una strage certificata dall'analisi "Demografia d'impresa nelle città italiane", realizzata dall'Ufficio Studi di Confcommercio con il centro studi Guglielmo Tagliacarne che registra una "sempre più preoccupante" desertificazione commerciale delle città. La riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici che nelle periferie. Sono 111 mila i punti vendita al dettaglio chiusi che non sono stati sostituiti e 24 mila l'attività di commercio ambulante perdute. Sono invece aumentate in maniera considerevole le attività di alloggio e ristorazione (9.800 in più).

Nei centri storici ci sono sempre meno attività tradizionali come i distributori di carburanti (-40,7% dal 2012), i negozi di libri e giocattoli (-35,8%), di mobili e ferramenta (-33,9%), abbigliamento -25,5%) e sempre più servizi e tecnologia. Le farmacie segnano +12,4%, computer e telefonia +11,8%, le attività di alloggio (+42%) e quelle di ristorazione (+2,3%).Crescono le imprese straniere nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi (+30,1% tra il 2012 e il 2023) e si riducono quelle con titolare italiano (-8,4%). Nonostante questa contrazione il commercio è "ancora vitale e reattivo". Il direttore dell'Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella sottolinea che non c'è stata la strage che si aspettava durante la pandemia, periodo nel quale "abbiamo perso solo il 6,7% nel complesso della sede fissa e i sopravvissuti sono, comunque, 440mila. In termini assoluti dal 2019 al 2023 sono spariti circa 31 mila negozi".

"Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale" commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. Rimane "prioritario", per Sangalli, "contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città". In questa direzione vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l'Anci.

Per evitare gli effetti più gravi della desertificazione questo fenomeno, la soluzione proposta è quella di "puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l'innovazione e la ridefinizione dell'offerta". Resta fondamentale,poi, l'omnicanalità, ovvero l'utilizzo anche di un canale online ben funzionante (negli ultimi cinque anni gli acquisti di beni su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023). La crescita dell'e-commerce è infatti la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un'opportunità per il commercio "fisico" tradizionale.

A soffrire di più è il Nord Est che, negli ultimi anni, ha pagato per la riduzione del turismo russo e tedesco e, tra il 2012 e 2021, ha visto un calo di oltre il 30% in termini di variazione percentuale dei negozi. Al contrario resistono i comuni, soprattutto del Sud, particolarmente attrattivi per i turisti e le città, come Bologna, scelte dagli studenti fuorisede.

Per Confedilizia, l'associazione dei proprietari di immobili, ci sono due misure molto concrete che riuscirebbero in poco tempo a cambiare le cose: la prima è il superamento delle regole contrattuali, risalenti a quasi mezzo secolo fa, che ingessano le locazioni non abitative, da sostituire con norme equilibrate e al passo coi tempi; la seconda è l'introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma fiscale approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata".

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