mercoledì 14 dicembre 2022
Tra le aziende e l'Antitrust è scontro sull'interpretazione dell'articolo 3 del Dl Aiuti: è possibile o no aumentare i prezzi al rinnovo dei contratti? Verso una lunga partita tra avvocati (e governo)
Perché sarà difficile ottenere i rimborsi sugli aumenti in bolletta
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Chi spera di ottenere rapidamente rimborsi o sconti in bolletta per effetto della decisione dell’Antitrust del 13 dicembre rischia di rimanere deluso.

Le sette aziende colpite dai provvedimenti cautelari dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie, che assieme fanno circa l’80% del mercato) stanno preparando le carte per presentare ricorso al Tar del Lazio e sono convinte che il giudice amministrativo darà loro ragione. Per questo non è escluso che possano anche decidere di non accettare le richieste dell’Antitrust: significherebbe confermare le variazioni dei contratti già comunicate ai clienti e andare incontro alle sanzioni previste dall’Autorità (multe dai 10mila ai 5 milioni di euro) contando sul fatto che difficilmente l’Antitrust si spingerà fino a disporre la massima punizione possibile, cioè la sospensione dell’attività di impresa per 30 giorni.

Che cosa dice l'articolo 3 del Dl Aiuti

Al di là di casi specifici di illecite variazioni unilaterali dei contratti (con modalità e tempi scorretti) il nodo dello scontro che riguarda 7,5 milioni di famiglie sta tutto nell’interpretazione del terzo articolo del decreto legge Aiuti-bis, approvato dal governo Draghi lo scorso 9 agosto e convertito in legge dal Parlamento il 21 di settembre. «Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l'efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all'impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte» dice la legge.

Si era capito presto che il testo rischiava di essere un po’ ambiguo su che cosa poteva cambiare nei contratti e che cosa no. Difatti l’Autorità dell’Energia e la stessa Antitrust si sono riunite per capire come interpretare la legge. Sono arrivate a cinque conclusioni, pubblicate a ottobre:

  • Le variazioni unilaterali dei contratti sono vietate fino ad aprile 2023

  • Nei contratti che prevedono “evoluzioni automatiche” delle condizioni economiche gli aumenti sono leciti

  • Nei rinnovi annuali dei contratti PLACET, che applicano condizioni stabilite dall’Arera, i prezzi possono salire se seguono la corretta procedura

  • Le proposte di rinegoziazione o risoluzione del contratto per “eccessiva onerosità" non possono essere completate finché non si pronuncia il giudice

  • Il diritto di recesso da parte dei fornitori resta, ma occorre rispettare i tempi indicati nel contratto, che non possono essere inferiori ai sei mesi

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Le variazioni trimestrali del prezzo di riferimento dell'elettricità

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Le diverse interpretazioni tra aziende e Antitrust

Resta però un nodo irrisolto: quando un contratto sul mercato libero va in scadenza, le aziende hanno diritto a proporre il rinnovo a un prezzo più alto o no?

Secondo l’Antitrust non possono farlo. Come aveva già scritto a ottobre nel provvedimento su Iren – che assieme a Dolomiti Energia è stata la prima azienda ad essere coinvolta in un’istruttoria riguardo l’applicazione del decreto Aiuti-Bis – l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ritiene che «l’aggiornamento delle condizioni economiche contrattuali [...] sebbene non qualificata come modifica unilaterale risulta pienamente rientrare nel divieto». L’Antitrust ritiene di interpretare bene la norma, e infatti ricorda che il senso della legge è «tutelare i consumatori, quale parte contrattualmente più debole nei mercati della fornitura di energia elettrica e gas».

Per le aziende se la legge prevede davvero questo è un disastro. Perché vuole dire essere costrette a vendere elettricità e metano fino alla fine di aprile a prezzi inferiori di 6-7 volte a quelli a cui li comprano sul mercato. Certo, la situazione di ogni impresa è diversa: ad esempio per chi produce elettricità da fonti rinnovabili i costi operativi sono circa sempre gli stessi, ma per chi invece deve comprare elettricità e gas all’ingrosso lavorare in perdita sulla base di prezzi di 12-24 mesi fa è possibile solo finché restano soldi in cassa.

In attesa del Tar (e del governo)

Le associazioni degli operatori di luce e gas Elettricità Futura e Utilitalia lo hanno scritto in una nota molto dura: «L’interpretazione dell’Agcm sta già producendo gravi conseguenze su un settore industriale strategico per la sicurezza e l’indipendenza energetica dell’Italia con ricadute negative per l’occupazione e l’indotto della filiera nazionale». Le associazioni stimano che se non possono rinnovare i contratti alle nuove condizioni le imprese subiranno perdite da 4-5 miliardi di euro. «È concreto il rischio di fallimento per molti operatori di vendita medio-piccoli con conseguenti danni per lo Stato, il sistema e i consumatori» avvertono.

Le due associazioni chiedono aiuto al governo e al Parlamento, perché facciano chiarezza sulla legge rendendo possibili gli aggiornamenti dei prezzi alla scadenza del contratto. L’intervento dei legislatori, aggiungono, è «urgente e necessario».

Nel frattempo la vicenda proseguirà anche il suo percorso in tribunale. Dolomiti Energia e Iren hanno già presentato i loro ricorsi al Tar del Lazio (le sette società colpite martedì hanno 60 giorni di tempo per farlo). Il Tribunale ha fissato per il 22 febbraio l’udienza su questo caso, aggiungendo che prenderà direttamente una decisione nel merito.




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