Auto e Green Deal, sfida a colpi di dati: "Serve un organo di controllo"
Federauto contro gli studi definiti "a senso unico" pro-elettrico: "Generano confusione che disorienta e danneggia il mercato"

E' una battaglia continua, a colpi di dati, studi, inchieste. Con risultati e proclami contrastanti, spesso opposti. L'auto elettrica, e più in generale la mobilità sostenibile raggiungibile attraverso l'abbandono dei motori tradizionali, continua a generare polemiche e incertezze. Al punto che Federauto, l'associazione che rappresenta i Concessionari italiani, scende in campo attraverso il suo presidente Massimo Artusi: «Accogliamo con favore - afferma Artusi - la creazione di un organo di controllo, come richiesto dal Parlamento Europeo, per fare chiarezza sulla modalità di finanziamento da parte della Commissione europea a favore delle organizzazioni autrici di tali ricerche, nella convinzione che attraverso di esso chi ha la responsabilità di tali scelte potrà finalmente giungere ad una individuazione dei soggetti che abbiano la competenza, l'autorevolezza e l'indipendenza per produrre indagini il più possibile oggettive».
L'intervento di Federauto non si riferisce ad alcuno studio in particolare, ma proprio in questi giorni un nuovo report pubblicato dall'International Council on Clean Transportation (ICCT) ha stimato che, nel corso della loro vita, le auto elettriche a batteria vendute oggi in Europa emettono una quantità di gas climalteranti quasi 4 volte inferiore rispetto alle auto a benzina. Lo studio, un'analisi completa delle emissioni delle auto durante tutto il ciclo di vita per le principali tecnologie, conferma - afferma l'ICCT - e rafforza i risultati precedenti: "solo le auto elettriche a batteria possono garantire una riduzione delle emissioni su scala sufficiente per decarbonizzare la modalità di trasporto più inquinante d'Europa. Le auto sono infatti responsabili di quasi tre quarti delle emissioni del settore".
Secondo un'altra ricerca appena pubblicata da Transport & Environment (T&E), la principale organizzazione indipendente europea per la decarbonizzazione dei trasporti, "Il comparto automobilistico europeo potrebbe salvare gli attuali livelli di occupazione e tornare a produrre 16.8 milioni di auto all’anno – pari al picco raggiunto dopo la crisi del 2008 – se l’UE manterrà intatto l’obiettivo di sole auto a zero emissioni dal 2035 e rafforzerà le politiche industriali e di stimolo della domanda. Lo studio, infatti, ha simulato l’impatto dell’obiettivo 2035 dell’UE per le auto a zero emissioni, unito a nuove politiche industriali per stimolare la produzione nazionale di veicoli elettrici, come un target di elettrificazione per le flotte aziendali e misure di sostegno a favore di auto e batterie prodotte in UE. "In questo scenario - conclude - il contributo della filiera automobilistica al PIL europeo aumenterebbe dell'11% nel 2035 rispetto a oggi".
Tornando a Federauto che - ripetiamo - non si riferisce specificatamente a queste ricerche ma affronta la questione in termini più generali, Artusi ribadisce che «la pressoché quotidiana pubblicazione di ricerche, studi e indagini che sono di parte, ma si vestono dei panni della scienza per simulare obiettività, rivelando in realtà solo mezze verità e nascondendone altre, dopo aver contagiato la politica e l’industria, sta ingenerando nella pubblica opinione - e nei consumatori - una confusione che disorienta e danneggia il mercato dell'auto.
«Federauto e i concessionari italiani, rispetto a tali problemi», afferma Artusi, «si trovano in una posizione assolutamente indipendente e non inficiata dal alcun preconcetto ideologico, dal momento che il loro interesse naturale è soddisfare un cliente nel suo acquisto di un autoveicolo: che poi questo sia a trazione elettrica, a carburante o ibrido non fa differenza. Il mercato ci dice, tuttavia, ogni giorno di più che nonostante le scelte dirigistiche della Commissione europea e il continuo ricorso ad incentivi, la vendita di auto BEV non decolla; in conseguenza di ciò il parco circolante invecchia sempre di più con effetti nefasti proprio per quella sostenibilità che si dice di voler difendere, mentre non si vuol tenere conto che il processo di trasformazione dei carburanti per i motori termici in vettori rinnovabili e carbon neutral sta proseguendo nella sua maturazione e lo sarebbe ancor di più, se non fosse ostacolato dalla normativa (figuriamoci se fosse agevolato!)».
«Per questo - continua Artusi - a un osservatore indipendente (ma attento!) come Federauto, di fronte alla martellante campagna a colpi di studi, indagini e ricerche di varia provenienza, sorgono spontanee alcune domande:
1. Perché le ricerche targate full electric - nonostante i loro contenuti di parte - sono considerate «buone», e quelle del fronte avverso sono tacciate di rappresentare interessi economici, come se dietro il mondo della trazione elettrica non ci fossero altrettanti interessi?
2. Perché tali studi non considerano la transizione green dei trasporti in tutti i suoi aspetti, anche economici e sociali, ma si limitano a evidenziare solo i (presunti) benefici ambientali e non le ricadute negative per l'economia, l’occupazione e la società?
3. Perché tali ricerche riservano così poca attenzione ad un comparto, invece, del tutto cruciale per l ’economia europea (e strategico per l’economia italiana!), come il trasporto pesante HDV, dove la diffusione della trazione elettrica è sostanzialmente inesistente?
4. Perché tali ricerche continuano a negare la validità dei biocarburanti, nascondendo che la loro attuale carenza è almeno pari alla mancanza di infrastrutture di ricarica elettrica e alla produzione verde di elettricità che richiedono – anch’esse - tempo e investimenti per poter servire tutto il mercato?».
1. Perché le ricerche targate full electric - nonostante i loro contenuti di parte - sono considerate «buone», e quelle del fronte avverso sono tacciate di rappresentare interessi economici, come se dietro il mondo della trazione elettrica non ci fossero altrettanti interessi?
2. Perché tali studi non considerano la transizione green dei trasporti in tutti i suoi aspetti, anche economici e sociali, ma si limitano a evidenziare solo i (presunti) benefici ambientali e non le ricadute negative per l'economia, l’occupazione e la società?
3. Perché tali ricerche riservano così poca attenzione ad un comparto, invece, del tutto cruciale per l ’economia europea (e strategico per l’economia italiana!), come il trasporto pesante HDV, dove la diffusione della trazione elettrica è sostanzialmente inesistente?
4. Perché tali ricerche continuano a negare la validità dei biocarburanti, nascondendo che la loro attuale carenza è almeno pari alla mancanza di infrastrutture di ricarica elettrica e alla produzione verde di elettricità che richiedono – anch’esse - tempo e investimenti per poter servire tutto il mercato?».
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